Presentazione
Molti pensano che la società moderna - è meglio chiamarla così piuttosto che “capitalista” – sia la causa di tutti i problemi sociali e ambientali. Ma l’analisi generale presentata in questo sito dimostra invece che la società in cui viviamo è l’unica sostenibile da ogni punto di vista mai comparsa nella storia umana.
Prima di tutto essa è l’unica sostenibile sul piano sociale, dato che essa è l’unica capace di sconfiggere la miseria assoluta e le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche. Inoltre, nonostante che a prima vista possa sembrare il contrario, essa è anche l’unica sostenibile sul piano ambientale.
Tutte le società del passato erano in crescita demografica esponenziale, che è il paradigma dell’insostenibilità. Producevano i loro beni con tecniche primitive e in quantità insufficiente. Non riuscivano a soddisfare i bisogni primari, e poiché i problemi di sopravvivenza hanno la precedenza su tutto il resto, non si preoccupavano dell’ambiente.
I paesi sviluppati invece, e quelli emergenti seguono a ruota, hanno raggiunto la stabilità demografica, producono i beni di cui hanno bisogno in maniera molto più efficiente e, dato che hanno già soddisfatto i loro bisogni più importanti, sono interessati a salvare l’ambiente.
Una volta i contadini, a causa della bassa produttività agricola ed di una crescita demografica fuori controllo, sfruttavano anche i terreni più poveri e, come in Italia, avevano ridotto al minimo la superficie dei boschi. I boschi stessi erano super sfruttati per la legna, che era l’unico combustibile sia per cucinare che per scaldarsi in inverno. Infine, nella perenne ricerca di qualcosa da mangiare, avevano sterminato la fauna selvatica.
La gente comune viveva in condizione di povertà estrema, non possedeva nulla e non aveva diritti. Abitava in baracche di legno o in tuguri malsani e sovraffollati, si vestiva di stracci ed era di bassa statura perché non assumeva abbastanza proteine. Era priva di istruzione, poteva spostarsi solo a piedi ed era esposta a violenze, carestie ed epidemie. Quasi la metà dei bambini moriva prima dei cinque anni e la lunghezza media della vita era di soli 24.
La crescita demografica esponenziale era anche la causa che rendeva inevitabili le profonde disparità sociali che oggi abbiamo dimenticato: una piccola minoranza di nobili aveva tutto il potere, tutta la ricchezza e ogni altro privilegio, mentre il resto della popolazione non possedeva nulla e viveva in uno stato di schiavitù di nome o di fatto.
Oggi invece la gente comune gode di condizioni di vita che nessuno una volta avrebbe potuto anche solo immaginare. E’ ben nutrita, istruita, curata da un sistema sanitario efficiente, tanto che l’aspettativa di vita media in Italia ha raggiunto gli 82,5 anni. Ha anche delle possibilità di informarsi e di viaggiare che i sovrani onnipotenti del passato non potevano nemmeno sognare. Vive in case spaziose e accoglienti, pulite e riscaldate in inverno e in una società molto meno violenta nella quale il numero di omicidi è decine di volte più basso. Tutto questo è merito della società moderna, cioè della rivoluzione scientifica e tecnologica, dell’economia di mercato e della libertà.
Ma oggi molti si chiedono: questo straordinario aumento del benessere è sostenibile sul piano ambientale?
Gli italiani hanno raggiunto da tempo l’equilibrio demografico, che è la condizione fondamentale della sostenibilità. Ma per arrivarci è stato necessario passare attraverso la transizione demografica che ha moltiplicato la popolazione iniziale di circa sette volte. Quindi l’agricoltura ha dovuto produrre molto più cibo, anche perché nel frattempo sono aumentati anche i consumi pro capite.
Nella prima fase della crescita, quando c’era bisogno di più cibo ma l’agricoltura era ancora quella tradizionale, aumentava la pressione sul territorio. Ma poi le moderne tecniche agronomiche hanno aumentato a tal punto le rese per ettaro che l’impatto sull’ambiente delle attività agricole è addirittura diminuito.
Lo dimostra il fatto che in Italia nel dopoguerra la superficie dei boschi è più che raddoppiata. E ai boschi, che sono anche meno sfruttati, bisogna aggiungere molte aree aperte in zone di montagna, una volta sfruttate da un’agricoltura e da una pastorizia di sussistenza, che oggi sono tenute a prato dagli erbivori selvatici. Questo perché nel frattempo è tornata la fauna selvatica.
Con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale la produzione degli altri beni è cresciuta ancora di più di quella agricola, e di conseguenza sono aumentati in maniera evidente l’inquinamento e l’impatto ambientale. Ma poi nel corso degli anni Settanta, man mano che i mercati dei beni materiali venivano saturati, a seconda dei settori la produzione si è stabilizzata, è diminuita o è crollata, per essere sostituita da quella dei servizi – che oggi occupano i tre quarti dell’economia. E i servizi non sono altro che beni immateriali la cui produzione ha un impatto ambientale molto minore.
Inoltre i beni di cui abbiamo bisogno li produciamo in maniera molto più efficiente, cioè consumando sempre meno risorse naturali, che è quello che conta dal punto di vista ambientale. Infine, una volta soddisfatti i bisogni primari, passano in prima linea dei bisogni più sofisticati, soddisfatti dall’economia dei servizi, compreso quello di salvaguardare l’ambiente. Pertanto la società moderna è anche l’unica che ha l’interesse, la capacità e i mezzi per ridurre al minimo la pressione delle attività antropiche sugli ecosistemi naturali.
La situazione dell’Italia ricalca quella dei paesi più sviluppati. Per quanto riguarda invece i paesi emergenti, essi stanno percorrendo la stessa strada di quelli che li hanno preceduti sulla strada dello sviluppo con solo qualche decennio di ritardo. E non lo si può negare, perché la loro crescita travolgente sta avvenendo sotto i nostri stessi occhi.
Però dato che la loro popolazione è molto più numerosa, essi hanno aumentato in misura preoccupante la pressione sull’ambiente. Tuttavia, come è già avvenuto nei paesi che si sono sviluppati per primi, man mano che si modernizzano anche il loro impatto ambientale è destinato a diminuire. Cosa che del resto sta già avvenendo.
Ci sono ancora delle foreste che vengono abbattute per il legname e per espandere pascoli e coltivazioni, ma c’è anche un flusso costante di popolazione che si trasferisce dalla campagna alla città (come è avvenuto da noi nella prima metà del dopoguerra). E i terreni abbandonati, ancora più in fretta nella fascia tropicale, vengono subito riconquistati dalla foresta, tanto che già da molti anni la ricrescita supera gli abbattimenti.
E per quanto riguarda gli altri beni, anche le loro economie si stanno spostando dai beni materiali ai servizi, con le stesse benefiche conseguenze. Inoltre anche in questi paesi, man mano che l’economia arriva a soddisfare i bisogni primari, cresce l’interesse per l’ambiente. Vengono istituiti dei parchi naturali e si lavora per tutelare le specie a rischio. Infine oggi stiamo raggiungendo la stabilità demografica anche su scala globale, perché è dalla metà degli anni Novanta che in media mondiale il numero di nuovi nati ha smesso di aumentare.
Tutto questo dimostra che la società moderna, nonostante i problemi della crescita, è l’unica sostenibile anche sul piano ambientale. I danni all’ambiente devono essere considerati un’eredità del passato, cioè di società in perenne crescita demografica e che producevano i loro beni in maniera altamente inefficiente.
Eppure, nonostante questi risultati straordinari, la società moderna ha molti nemici. Le vecchie classi dominanti hanno fatto ogni possibile resistenza contro il nuovo ordine sociale. Inoltre nell’Ottocento è nata un’ideologia che accusa la società “capitalista” di essere la causa delle ingiustizie sociali.
Marx, vissuto a lungo nell’Inghilterra che si stava industrializzando, non ha compreso questa epocale trasformazione. Non ha capito le leggi del mercato, che non sono state inventate dai “capitalisti”, ma che regolano gli scambi commerciali da migliaia di anni. Marx ha elaborato una propria visione della realtà, suggestiva ma profondamente sbagliata, che continua a confondere molte coscienze.
Anche le ingiustizie sociali non nascono nell’800. Marx non ha capito che i contadini facevano la fila per farsi assumere nelle nuove fabbriche, nonostante le paghe basse e i pesanti turni di lavoro, perché almeno lì il lavoro aveva un orario, la paga era sicura e perché adesso erano delle persone libere e non dei servi sempre a disposizione di un padrone.
L’ideologia marxista ha ispirato i regimi di tipo sovietico, nei quali la libertà e il mercato erano stati aboliti, mentre l’innovazione tecnologica era stata messa al servizio del solo apparato militare.
Si potrebbe pensare che quando questi regimi totalitari sono falliti l’ideologia che li aveva ispirati sia stata abbandonata. In realtà questo è avvenuto in molti paesi, perché quasi tutto il mondo ha capito cosa doveva fare per sconfiggere la povertà, e da allora lo sta facendo con risultati straordinari. Però paradossalmente essa si è diffusa in molti paesi ricchi, nonostante che essi siano diventati tali proprio grazie alla società moderna.
Quando è crollata l’Unione sovietica i partiti comunisti dei paesi “occidentali” hanno cambiato nome. Però, invece di prendere atto del loro fallimento (è difficile ammettere di avere fatto la cosa sbagliata per tutta la vita), non solo hanno continuato la loro guerra contro la società capitalista, ma hanno deciso di intensificarla. Per questo i marxisti sono diventati ambientalisti, perché hanno capito che sfruttando i sentimenti pro ambiente della gente (dovuti alla sconfitta della povertà e alla soddisfazione dei bisogni primari), potevano fare gravi danni all’economia. E all’accusa alla società moderna di essere la causa delle ingiustizie sociali hanno aggiunto quella di essere responsabile dei danni all’ambiente.
Oggi essi parlano del divario tra i paesi ricchi e quelli poveri. Ma hanno messo sotto accusa proprio l’economia di mercato, la crescita economica e lo sviluppo, che sono l’unica strada conosciuta per sconfiggere la povertà e colmare questo divario.
Poi parlano dei problemi dell’ambiente e del riscaldamento globale. Però hanno ostacolato o bloccato tutte le soluzioni migliori che abbiamo per diminuire il consumo dei combustibili fossili, che hanno preteso di sostituire con le “energie alternative”, che però non funzionano o funzionano molto peggio e sono anche molto costose.
Purtroppo queste idee sbagliate non sono state contrastate dallo schieramento politico opposto perché la destra, liberale o non che sia, non ha una propria elaborazione dei temi ambientali. E dato che questi sono diventati così importanti per l’opinione pubblica, essa ha adottato l’unica esistente che è quella inventata dalla sinistra. Per cui oggi in Italia abbiamo il paradosso di un governo di destra, con l’obiettivo dichiarato di rilanciare l’economia, che continua a portare avanti la politica delle energie alternative che è stata inventata dalla sinistra per fare il massimo danno all’economia capitalista!
I nemici della società moderna, stravolgendo i dati scientifici, hanno anche trasformato l’anidride carbonica - il principale fattore di crescita delle piante - nel principale nemico della natura e dell’ambiente. Inoltre oggi la scienza ci sta dicendo che è il sole non la CO2 la causa più probabile del riscaldamento globale. E l’ipotesi solare ha anche il pregio di poter essere verificata.
Gli allarmi ingiustificati sul clima hanno ispirato la politica dell’Europa che ha imposto ai paesi membri le finte soluzioni delle energie alternative, dell’auto a idrogeno e dei biocarburanti, nonostante i loro costi astronomici e l’evidenza della loro inutilità.
Infatti è facile dimostrare che, se lo scopo è quello di diminuire l’uso dei combustibili fossili, ci sono delle soluzioni molto migliori, che invece di ammazzare l’economia la rafforzano. Esse vanno dalle auto elettriche al teleriscaldamento alle centrali nucleari, che però non interessano o vengono osteggiate e impedite.
I nemici della società moderna hanno messo sotto accusa anche i vaccini, le centrali nucleari, l’ingegneria genetica applicata all’agricoltura, le centrali a turbogas, i rigassificatori ecc. E hanno convinto l’opinione pubblica che eolico, fotovoltaico e auto a idrogeno possano soddisfare il fabbisogno energetico di un paese. Ma i problemi pratici devono essere giudicati sulla base dei dati scientifici, non di un’ideologia ottocentesca!
E anche la società in cui viviamo deve essere giudicata sulla base dei dati della realtà, e i dati storici dimostrano che in tutte le altre epoche e civiltà le condizioni di vita erano quelle di una miseria assoluta e di disparità sociali infinite (e il fatto di chiamarle oggi “differenze di classe” non cambia i termini della questione).
Purtroppo bisogna riconoscere che in Italia la guerra alla società capitalista, giustificata con dei falsi pretesti ambientali e buonisti, è stata un grande successo. Infatti essa ha provocato una crisi economica devastante che dura dal 2008, ha aumentato la disoccupazione, ha messo in difficoltà milioni di famiglie e ha causato un preoccupante crollo della natalità, mentre non ha diminuito il consumo dei combustibili fossili. E’ questo il risultato che si voleva ottenere?
Eppure questo è solo l’inizio. Con l’Accordo di Parigi dell’anno 2015, firmato da quasi tutti i paesi “occidentali”, i nemici della società moderna stanno cercando di imporci, con il pretesto della lotta contro il cambiamento climatico, dei costi iperbolici che distruggerebbero le nostre economie e il nostro livello di vita, sempre in cambio di nulla.
Ma la guerra alla società capitalista sta facendo dei danni ancora maggiori nei paesi più poveri del mondo. Infatti essa è riuscita a bloccare i finanziamenti alle infrastrutture di cui i paesi più poveri hanno un disperato bisogno per la loro crescita, l’unica strada conosciuta per uscire dalla povertà. Infatti non è mai accaduto che un paese sia uscito dalla povertà con la “redistribuzione” o con un’economia di tipo sovietico.
La società moderna ha già ottenuto dei risultati straordinari. Ha liberato o sta liberando da una povertà abietta il 90% della popolazione mondiale. Sta mettendo fine alla crescita demografica: un altro risultato epocale. Negli ultimi decenni ha abbattuto l’impatto ambientale nei paesi più sviluppati e oggi sta facendo la stessa cosa nei paesi emergenti. E la situazione sarebbe ancora migliore se non fossero state impedite le tecnologie più efficaci specialmente nel settore strategico dell’energia. Infine la società moderna ha già tutte le soluzioni che possiamo desiderare per i principali problemi di oggi, che sono quelli della produzione del cibo e dell’energia, sia nei paesi più sviluppati che in quelli emergenti.
La società moderna è la rivoluzione più grande della Storia; anzi, è la rivoluzione più grande da quando è comparsa sul pianeta la specie Homo sapiens. Una rivoluzione profonda, la rivoluzione più importante di tutte, perché è quella che ha sconfitto o sta sconfiggendo in tutto il mondo la miseria assoluta e le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche. Dobbiamo solo proseguire su questa strada.
Prima di tutto essa è l’unica sostenibile sul piano sociale, dato che essa è l’unica capace di sconfiggere la miseria assoluta e le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche. Inoltre, nonostante che a prima vista possa sembrare il contrario, essa è anche l’unica sostenibile sul piano ambientale.
Tutte le società del passato erano in crescita demografica esponenziale, che è il paradigma dell’insostenibilità. Producevano i loro beni con tecniche primitive e in quantità insufficiente. Non riuscivano a soddisfare i bisogni primari, e poiché i problemi di sopravvivenza hanno la precedenza su tutto il resto, non si preoccupavano dell’ambiente.
I paesi sviluppati invece, e quelli emergenti seguono a ruota, hanno raggiunto la stabilità demografica, producono i beni di cui hanno bisogno in maniera molto più efficiente e, dato che hanno già soddisfatto i loro bisogni più importanti, sono interessati a salvare l’ambiente.
Una volta i contadini, a causa della bassa produttività agricola ed di una crescita demografica fuori controllo, sfruttavano anche i terreni più poveri e, come in Italia, avevano ridotto al minimo la superficie dei boschi. I boschi stessi erano super sfruttati per la legna, che era l’unico combustibile sia per cucinare che per scaldarsi in inverno. Infine, nella perenne ricerca di qualcosa da mangiare, avevano sterminato la fauna selvatica.
La gente comune viveva in condizione di povertà estrema, non possedeva nulla e non aveva diritti. Abitava in baracche di legno o in tuguri malsani e sovraffollati, si vestiva di stracci ed era di bassa statura perché non assumeva abbastanza proteine. Era priva di istruzione, poteva spostarsi solo a piedi ed era esposta a violenze, carestie ed epidemie. Quasi la metà dei bambini moriva prima dei cinque anni e la lunghezza media della vita era di soli 24.
La crescita demografica esponenziale era anche la causa che rendeva inevitabili le profonde disparità sociali che oggi abbiamo dimenticato: una piccola minoranza di nobili aveva tutto il potere, tutta la ricchezza e ogni altro privilegio, mentre il resto della popolazione non possedeva nulla e viveva in uno stato di schiavitù di nome o di fatto.
Oggi invece la gente comune gode di condizioni di vita che nessuno una volta avrebbe potuto anche solo immaginare. E’ ben nutrita, istruita, curata da un sistema sanitario efficiente, tanto che l’aspettativa di vita media in Italia ha raggiunto gli 82,5 anni. Ha anche delle possibilità di informarsi e di viaggiare che i sovrani onnipotenti del passato non potevano nemmeno sognare. Vive in case spaziose e accoglienti, pulite e riscaldate in inverno e in una società molto meno violenta nella quale il numero di omicidi è decine di volte più basso. Tutto questo è merito della società moderna, cioè della rivoluzione scientifica e tecnologica, dell’economia di mercato e della libertà.
Ma oggi molti si chiedono: questo straordinario aumento del benessere è sostenibile sul piano ambientale?
Gli italiani hanno raggiunto da tempo l’equilibrio demografico, che è la condizione fondamentale della sostenibilità. Ma per arrivarci è stato necessario passare attraverso la transizione demografica che ha moltiplicato la popolazione iniziale di circa sette volte. Quindi l’agricoltura ha dovuto produrre molto più cibo, anche perché nel frattempo sono aumentati anche i consumi pro capite.
Nella prima fase della crescita, quando c’era bisogno di più cibo ma l’agricoltura era ancora quella tradizionale, aumentava la pressione sul territorio. Ma poi le moderne tecniche agronomiche hanno aumentato a tal punto le rese per ettaro che l’impatto sull’ambiente delle attività agricole è addirittura diminuito.
Lo dimostra il fatto che in Italia nel dopoguerra la superficie dei boschi è più che raddoppiata. E ai boschi, che sono anche meno sfruttati, bisogna aggiungere molte aree aperte in zone di montagna, una volta sfruttate da un’agricoltura e da una pastorizia di sussistenza, che oggi sono tenute a prato dagli erbivori selvatici. Questo perché nel frattempo è tornata la fauna selvatica.
Con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale la produzione degli altri beni è cresciuta ancora di più di quella agricola, e di conseguenza sono aumentati in maniera evidente l’inquinamento e l’impatto ambientale. Ma poi nel corso degli anni Settanta, man mano che i mercati dei beni materiali venivano saturati, a seconda dei settori la produzione si è stabilizzata, è diminuita o è crollata, per essere sostituita da quella dei servizi – che oggi occupano i tre quarti dell’economia. E i servizi non sono altro che beni immateriali la cui produzione ha un impatto ambientale molto minore.
Inoltre i beni di cui abbiamo bisogno li produciamo in maniera molto più efficiente, cioè consumando sempre meno risorse naturali, che è quello che conta dal punto di vista ambientale. Infine, una volta soddisfatti i bisogni primari, passano in prima linea dei bisogni più sofisticati, soddisfatti dall’economia dei servizi, compreso quello di salvaguardare l’ambiente. Pertanto la società moderna è anche l’unica che ha l’interesse, la capacità e i mezzi per ridurre al minimo la pressione delle attività antropiche sugli ecosistemi naturali.
La situazione dell’Italia ricalca quella dei paesi più sviluppati. Per quanto riguarda invece i paesi emergenti, essi stanno percorrendo la stessa strada di quelli che li hanno preceduti sulla strada dello sviluppo con solo qualche decennio di ritardo. E non lo si può negare, perché la loro crescita travolgente sta avvenendo sotto i nostri stessi occhi.
Però dato che la loro popolazione è molto più numerosa, essi hanno aumentato in misura preoccupante la pressione sull’ambiente. Tuttavia, come è già avvenuto nei paesi che si sono sviluppati per primi, man mano che si modernizzano anche il loro impatto ambientale è destinato a diminuire. Cosa che del resto sta già avvenendo.
Ci sono ancora delle foreste che vengono abbattute per il legname e per espandere pascoli e coltivazioni, ma c’è anche un flusso costante di popolazione che si trasferisce dalla campagna alla città (come è avvenuto da noi nella prima metà del dopoguerra). E i terreni abbandonati, ancora più in fretta nella fascia tropicale, vengono subito riconquistati dalla foresta, tanto che già da molti anni la ricrescita supera gli abbattimenti.
E per quanto riguarda gli altri beni, anche le loro economie si stanno spostando dai beni materiali ai servizi, con le stesse benefiche conseguenze. Inoltre anche in questi paesi, man mano che l’economia arriva a soddisfare i bisogni primari, cresce l’interesse per l’ambiente. Vengono istituiti dei parchi naturali e si lavora per tutelare le specie a rischio. Infine oggi stiamo raggiungendo la stabilità demografica anche su scala globale, perché è dalla metà degli anni Novanta che in media mondiale il numero di nuovi nati ha smesso di aumentare.
Tutto questo dimostra che la società moderna, nonostante i problemi della crescita, è l’unica sostenibile anche sul piano ambientale. I danni all’ambiente devono essere considerati un’eredità del passato, cioè di società in perenne crescita demografica e che producevano i loro beni in maniera altamente inefficiente.
Eppure, nonostante questi risultati straordinari, la società moderna ha molti nemici. Le vecchie classi dominanti hanno fatto ogni possibile resistenza contro il nuovo ordine sociale. Inoltre nell’Ottocento è nata un’ideologia che accusa la società “capitalista” di essere la causa delle ingiustizie sociali.
Marx, vissuto a lungo nell’Inghilterra che si stava industrializzando, non ha compreso questa epocale trasformazione. Non ha capito le leggi del mercato, che non sono state inventate dai “capitalisti”, ma che regolano gli scambi commerciali da migliaia di anni. Marx ha elaborato una propria visione della realtà, suggestiva ma profondamente sbagliata, che continua a confondere molte coscienze.
Anche le ingiustizie sociali non nascono nell’800. Marx non ha capito che i contadini facevano la fila per farsi assumere nelle nuove fabbriche, nonostante le paghe basse e i pesanti turni di lavoro, perché almeno lì il lavoro aveva un orario, la paga era sicura e perché adesso erano delle persone libere e non dei servi sempre a disposizione di un padrone.
L’ideologia marxista ha ispirato i regimi di tipo sovietico, nei quali la libertà e il mercato erano stati aboliti, mentre l’innovazione tecnologica era stata messa al servizio del solo apparato militare.
Si potrebbe pensare che quando questi regimi totalitari sono falliti l’ideologia che li aveva ispirati sia stata abbandonata. In realtà questo è avvenuto in molti paesi, perché quasi tutto il mondo ha capito cosa doveva fare per sconfiggere la povertà, e da allora lo sta facendo con risultati straordinari. Però paradossalmente essa si è diffusa in molti paesi ricchi, nonostante che essi siano diventati tali proprio grazie alla società moderna.
Quando è crollata l’Unione sovietica i partiti comunisti dei paesi “occidentali” hanno cambiato nome. Però, invece di prendere atto del loro fallimento (è difficile ammettere di avere fatto la cosa sbagliata per tutta la vita), non solo hanno continuato la loro guerra contro la società capitalista, ma hanno deciso di intensificarla. Per questo i marxisti sono diventati ambientalisti, perché hanno capito che sfruttando i sentimenti pro ambiente della gente (dovuti alla sconfitta della povertà e alla soddisfazione dei bisogni primari), potevano fare gravi danni all’economia. E all’accusa alla società moderna di essere la causa delle ingiustizie sociali hanno aggiunto quella di essere responsabile dei danni all’ambiente.
Oggi essi parlano del divario tra i paesi ricchi e quelli poveri. Ma hanno messo sotto accusa proprio l’economia di mercato, la crescita economica e lo sviluppo, che sono l’unica strada conosciuta per sconfiggere la povertà e colmare questo divario.
Poi parlano dei problemi dell’ambiente e del riscaldamento globale. Però hanno ostacolato o bloccato tutte le soluzioni migliori che abbiamo per diminuire il consumo dei combustibili fossili, che hanno preteso di sostituire con le “energie alternative”, che però non funzionano o funzionano molto peggio e sono anche molto costose.
Purtroppo queste idee sbagliate non sono state contrastate dallo schieramento politico opposto perché la destra, liberale o non che sia, non ha una propria elaborazione dei temi ambientali. E dato che questi sono diventati così importanti per l’opinione pubblica, essa ha adottato l’unica esistente che è quella inventata dalla sinistra. Per cui oggi in Italia abbiamo il paradosso di un governo di destra, con l’obiettivo dichiarato di rilanciare l’economia, che continua a portare avanti la politica delle energie alternative che è stata inventata dalla sinistra per fare il massimo danno all’economia capitalista!
I nemici della società moderna, stravolgendo i dati scientifici, hanno anche trasformato l’anidride carbonica - il principale fattore di crescita delle piante - nel principale nemico della natura e dell’ambiente. Inoltre oggi la scienza ci sta dicendo che è il sole non la CO2 la causa più probabile del riscaldamento globale. E l’ipotesi solare ha anche il pregio di poter essere verificata.
Gli allarmi ingiustificati sul clima hanno ispirato la politica dell’Europa che ha imposto ai paesi membri le finte soluzioni delle energie alternative, dell’auto a idrogeno e dei biocarburanti, nonostante i loro costi astronomici e l’evidenza della loro inutilità.
Infatti è facile dimostrare che, se lo scopo è quello di diminuire l’uso dei combustibili fossili, ci sono delle soluzioni molto migliori, che invece di ammazzare l’economia la rafforzano. Esse vanno dalle auto elettriche al teleriscaldamento alle centrali nucleari, che però non interessano o vengono osteggiate e impedite.
I nemici della società moderna hanno messo sotto accusa anche i vaccini, le centrali nucleari, l’ingegneria genetica applicata all’agricoltura, le centrali a turbogas, i rigassificatori ecc. E hanno convinto l’opinione pubblica che eolico, fotovoltaico e auto a idrogeno possano soddisfare il fabbisogno energetico di un paese. Ma i problemi pratici devono essere giudicati sulla base dei dati scientifici, non di un’ideologia ottocentesca!
E anche la società in cui viviamo deve essere giudicata sulla base dei dati della realtà, e i dati storici dimostrano che in tutte le altre epoche e civiltà le condizioni di vita erano quelle di una miseria assoluta e di disparità sociali infinite (e il fatto di chiamarle oggi “differenze di classe” non cambia i termini della questione).
Purtroppo bisogna riconoscere che in Italia la guerra alla società capitalista, giustificata con dei falsi pretesti ambientali e buonisti, è stata un grande successo. Infatti essa ha provocato una crisi economica devastante che dura dal 2008, ha aumentato la disoccupazione, ha messo in difficoltà milioni di famiglie e ha causato un preoccupante crollo della natalità, mentre non ha diminuito il consumo dei combustibili fossili. E’ questo il risultato che si voleva ottenere?
Eppure questo è solo l’inizio. Con l’Accordo di Parigi dell’anno 2015, firmato da quasi tutti i paesi “occidentali”, i nemici della società moderna stanno cercando di imporci, con il pretesto della lotta contro il cambiamento climatico, dei costi iperbolici che distruggerebbero le nostre economie e il nostro livello di vita, sempre in cambio di nulla.
Ma la guerra alla società capitalista sta facendo dei danni ancora maggiori nei paesi più poveri del mondo. Infatti essa è riuscita a bloccare i finanziamenti alle infrastrutture di cui i paesi più poveri hanno un disperato bisogno per la loro crescita, l’unica strada conosciuta per uscire dalla povertà. Infatti non è mai accaduto che un paese sia uscito dalla povertà con la “redistribuzione” o con un’economia di tipo sovietico.
La società moderna ha già ottenuto dei risultati straordinari. Ha liberato o sta liberando da una povertà abietta il 90% della popolazione mondiale. Sta mettendo fine alla crescita demografica: un altro risultato epocale. Negli ultimi decenni ha abbattuto l’impatto ambientale nei paesi più sviluppati e oggi sta facendo la stessa cosa nei paesi emergenti. E la situazione sarebbe ancora migliore se non fossero state impedite le tecnologie più efficaci specialmente nel settore strategico dell’energia. Infine la società moderna ha già tutte le soluzioni che possiamo desiderare per i principali problemi di oggi, che sono quelli della produzione del cibo e dell’energia, sia nei paesi più sviluppati che in quelli emergenti.
La società moderna è la rivoluzione più grande della Storia; anzi, è la rivoluzione più grande da quando è comparsa sul pianeta la specie Homo sapiens. Una rivoluzione profonda, la rivoluzione più importante di tutte, perché è quella che ha sconfitto o sta sconfiggendo in tutto il mondo la miseria assoluta e le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche. Dobbiamo solo proseguire su questa strada.