REIMPOSTARE LA DISCUSSIONE SUL CLIMA
Qual è la causa del riscaldamento globale, l’anidride carbonica o il sole?
Gli allarmi sul clima si moltiplicano. Le banchise polari si stanno ritirando, così come i ghiacciai in montagna, e non c’è documentario naturalistico che non si concluda così: com’è bella la natura, peccato che il riscaldamento globale la stia distruggendo.
Oggi tutto quello che di negativo sta avvenendo nel mondo viene attribuito al surriscaldamento del pianeta, con la sola eccezione, per adesso, della caduta di meteoriti. E se non faremo qualcosa di drastico, se non abbandoneremo l’attuale modello di sviluppo, se non sostituiremo i combustibili fossili con le energie alternative, entro la fine del secolo lo scioglimento dei ghiacci e il conseguente sollevamento dei mari sommergeranno le città costiere.
Ma è proprio vero?
Le macchie solari e la radiazione cosmica.
Il surriscaldamento del pianeta degli ultimi decenni non è in discussione. Quello che gli scienziati stanno cercando di capire è se esso sia stato causato dall’anidride carbonica che abbiamo aggiunto all’atmosfera bruciando dei combustibili fossili, oppure dal sole.
L’energia che ci arriva dal sole è la condizione perché ci sia la vita sulla Terra. Inoltre è sempre più evidente che l’attività della nostra stella non è costante e che gli alti e bassi della sua attività possono influenzare profondamente il clima terrestre.
Anche se nei pochi anni di osservazioni la radiazione solare che arriva sulla Terra per unità di superficie (costante solare) non è cambiata di molto, ci sono altre manifestazioni della nostra stella che influenzano il clima terrestre e che sono molto più variabili. Però se potessimo conoscere il valore della costante solare per dei periodi più lunghi, probabilmente scopriremmo che anche questo fattore è variabile. Come si potrebbero spiegare altrimenti le glaciazioni e i cicli interglaciali?
La superficie del sole si trova ad una temperatura di 5.500 gradi, mentre la sua atmosfera, quella che si vede durante le eclissi e che chiamiamo corona solare, ha una temperatura di un milione di gradi. Inoltre è da questa atmosfera che nasce il vento solare.
Qual è la fonte di energia che scalda l’atmosfera del sole e alimenta il vento solare? Gli scienziati pensano che sia la sua forte attività magnetica, che nasce all’interno della stella, emerge in superficie attraverso le macchie solari e si estende in profondità nella corona. Le immagini ad alta risoluzione riprese dai satelliti mostrano degli enormi archi magnetici che nascono dal perimetro delle macchie solari, che a poco a poco si deformano e alla fine si spezzano con grandi esplosioni.
Quindi un maggior numero di macchie solari è il segno di una maggiore attività magnetica e di un più intenso vento solare. E un vento solare più intenso devia una maggiore quantità dei raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo e diminuisce la radiazione cosmica che raggiunge la Terra.
Infine gli scienziati hanno scoperto, anche se non tutti i dettagli sono stati chiariti, che la radiazione cosmica favorisce la formazione delle nuvole. Pertanto se la radiazione cosmica è più intensa si formano più nuvole, e una maggiore quantità di nuvole scherma la radiazione solare con la conseguenza che il clima si raffredda. L’abbiamo visto nell’estate del 2024, quando il cielo è rimasto coperto fino al 10 luglio, e fino a quel momento il caldo dell’estate non si era fatto sentire.
“Poiché diversi isotopi vengono prodotti dalla frammentazione di atomi colpiti dai raggi cosmici primari, è possibile determinare una variazione del flusso dei raggi cosmici misurando la concentrazione di questi isotopi - ad esempio, negli anelli degli alberi, nei nuclei di ghiaccio, nei sedimenti del fondo marino e nei meteoriti” (frase ripresa dal libro L’UNIVERSO NASCOSTO di Alessandro de Angelis – pag. 211).
Studiando questi isotopi gli scienziati hanno potuto ricostruire l’intensità della radiazione cosmica indietro nel tempo fino a 9400 anni fa. E questo dato lo hanno confrontato con il numero delle macchie solari registrato negli ultimi quattro secoli.
Questo confronto ha confermato che un numero più alto di macchie solari è correlato con una diminuzione della radiazione cosmica (vedi a pag. 221 del libro sopra citato il paragrafo “I raggi cosmici e il clima”, nonché i grafici della tavola 38 che mostrano che l’intensità della radiazione cosmica è inversamente correlata con il numero delle macchie solari).
Quindi le macchie solari sono un importante indicatore dell’attività del sole. Esse sono state osservate per la prima volta da Galileo Galilei tra il 1609 e il 1610 e poco dopo anche da altri astronomi.
All’inizio le osservazioni erano sporadiche perché erano fatte a occhio nudo, all’alba o al tramonto. Ma osservare il sole in questo modo è molto pericoloso, tanto che il Galilei ci ha rimesso la vista. Ma ben presto qualcuno si è accorto che si poteva osservare la nostra stella senza rischi proiettando su un foglio di carta l’immagine del sole formata dal cannocchiale. Da quel momento le osservazioni delle macchie solari da parte di diversi astronomi in Europa sono state sistematiche e continue, e di esse ci rimangono i disegni.
In questi quattro secoli ci sono stati due periodi significativi. Tra il 1645 e il 1715 le macchie erano quasi del tutto scomparse. E la loro scomparsa, con un ritardo di 15 / 20 anni, è coincisa con il culmine della “piccola glaciazione”, un periodo di grande freddo nel quale per esempio ogni anno a Londra il Tamigi ghiacciava e il ghiaccio era così spesso che sopra ci camminavano le carrozze e si tenevano i mercati. Ci furono anni in cui si era coperta di ghiaccio persino la laguna di Venezia.
E poi c’è un altro periodo, tra la seconda metà del Novecento e i primi anni Duemila, nel quale le macchie solari hanno raggiunto il loro livello più alto, che è coinciso con il riscaldamento globale che conosciamo.
Però questa relazione tra il numero delle macchie solari e la temperatura globale non è stata dimostrata per i cicli di macchie solari di livello intermedio. Ma ciò lo si potrebbe spiegare osservando che quando il numero delle macchie solari è molto alto o molto basso, l’effetto diventa evidente, mentre quando è su valori intermedi gli altri fattori che influenzano il clima possono “oscurare” il contributo del sole.
Infine adesso c’è un’importante novità. Il picco delle macchie solari viene raggiunto ogni 11 anni, e gli ultimi due cicli (l’ultimo è del 2024) mostrano che il loro numero si è circa dimezzato rispetto ai sei cicli precedenti, quelli nei quali le macchie erano state le più numerose degli ultimi quattro secoli.
A questo punto, se l’ipotesi solare è corretta, dovremmo aspettarci un cambiamento del clima. Da almeno una dozzina d’anni è diminuita l’attività magnetica del sole, e questo potrebbe spiegare alcuni dati climatici recenti, come l’aumento della copertura nuvolosa.
In ogni caso l’attuale fase di riscaldamento globale dovrebbe presto finire. Non subito, però, perché prima è necessario che venga smaltito il calore che si è accumulato negli ultimi decenni, e in particolare quello che ha aumentato la temperatura superficiale dei mari e degli oceani.
Ancora per un po’ di tempo le perturbazioni che vengono dall’Atlantico porteranno aria e pioggia un po’ più calde, che continueranno ad alzare la temperatura in Europa e a rendere meno frequenti le nevicate in inverno. D’altra parte diversi anni sono già trascorsi, perché questo è il secondo ciclo consecutivo in cui le macchie solari sono diminuite. Pertanto, se l’ipotesi solare è corretta, nel giro dei prossimi 5 o 6 anni dovremmo vedere dei segni inequivocabili di cambiamento: la neve dovrebbe riprendere ad accumularsi nei ghiacciai di montana e le banchise polari ad espandersi.
Rimangono però ancora alcune incognite. Nessuno al momento è in grado di prevedere come sarà, fra altri 11 anni, il prossimo ciclo delle macchie solari. Però i dati degli ultimi quattro secoli ci dicono che i cicli di macchie solari più o meno alti tendono a raggrupparsi, e gli ultimi due cicli potrebbero quindi indicare un cambiamento di tendenza.
Inoltre nessuno è in grado di spiegare perché le macchie solari hanno questa periodicità. Per capire questo e altri misteri negli ultimi anni sono stati mandati diversi veicoli spaziali ad osservare sempre più da vicino la nostra stella e la sua atmosfera.
Ma se il sole è la causa di gran lunga più probabile del riscaldamento globale, perché ci hanno fatto il lavaggio del cervello per convincerci che esso è stato causato dall’anidride carbonica?
Il ruolo dell’anidride carbonica.
La domanda è: perché si è voluto attribuire il recente surriscaldamento del pianeta all’anidride carbonica, con l’esclusione di qualsiasi altra possibile causa?
La risposta è che questa ipotesi si presta a mettere sotto accusa la società “capitalista”, la crescita economica e lo sviluppo. Infatti se questo gas serra è aumentato, è a causa delle attività umane, che così diventano responsabili anche di tutte le conseguenze negative, presenti e future, reali o inventate, che sono state attribuite al riscaldamento globale.
Questa però è una grave forzatura. Innanzi tutto l’anidride carbonica non è il principale gas serra. Il più importante è l’umidità atmosferica, perché è molto più abbondante. Ma non è altrettanto facilmente misurabile.
L’anidride carbonica si distribuisce uniformemente nell’aria, e bastano poche misure per sapere se aumenta o diminuisce. Questo non vale per il vapore acqueo. Ci sono regioni in cui l’aria è secchissima e altre in cui l’umidità è del 100%. Inoltre i venti spostano in continuazione le masse d’aria e le nuvole più o meno cariche di umidità. Pertanto se volessimo sapere se l’umidità atmosferica aumenta o diminuisce, dovremmo fare un numero infinito di misurazioni.
E poi, nonostante quello che hanno voluto farci credere, nessuno ha mai dimostrato che una maggiore quantità di anidride carbonica ha un effetto riscaldante (o raffreddante). Questo perché la CO2, prima di essere un gas serra, nell’ambito del ciclo del carbonio è il principale fattore di crescita delle piante. E quando questo gas aumenta (o diminuisce), causa una serie di conseguenze a cascata alcune delle quali hanno un effetto riscaldante e altre raffreddante. E queste conseguenze sono così complesse che nessuno è in grado di dire se alla fine ci sarà un aumento o una diminuzione della temperatura.
Il carbonio, che di tutte le sostanze organiche costituisce il componente fondamentale, viene dalla pianta introdotto, in forma gassosa, dall’atmosfera; esso penetra nei tessuti assimilanti delle foglie attraverso le aperture stomatiche. E’ evidente che, quanto più carbonio gassoso (sotto forma di anidride carbonica) entra nelle foglie, tanta più sostanza organica viene prodotta. Per arrivare a ciò occorre che non si frappongano ostacoli all’ingresso del gas e che, quindi, gli apparati stomatici siano il più possibile e permanentemente aperti. Questa condizione si verifica solo se la pianta non ha, per così dire, preoccupazioni per l’economia della propria acqua, ciò che determinerebbe la chiusura degli stomi, ma dispone di un eccesso di acqua di cui facilitare la dispersione mediante la completa apertura degli stomi.
Infatti le piante, esposte al sole, non si scaldano come potrebbe fare un sasso, ma regolano la propria temperatura emettendo vapore acqueo attraverso gli stomi.
Se la luce è sufficientemente intensa, aumentando la concentrazione della CO2 fino allo 0,3% (quasi 10 volte il suo valore normale), l’intensità della fotosintesi aumenta di circa il triplo.
Con un aumento dell’anidride carbonica fino all’8 -10%, la fotosintesi diviene sempre più rapida; un ulteriore aumento riesce dannoso e a concentrazioni del 26 – 30 % la funzione clorofilliana è impedita quasi del tutto.
Numerose esperienze hanno dimostrato che le piante concimate con anidride carbonica, oltre ad un più rapido e rigoglioso sviluppo, dimostrano anche una grandissima tendenza alla fioritura nonché una capacità molto maggiore di resistere contro ogni specie di insetti nocivi.
Per contro la concentrazione di anidride carbonica che si trova in natura è così bassa che si può dire essere, o quasi, la concentrazione minimale, quella cioè oltre la quale il processo non è più possibile.
Nelle serre, se l’aerazione è insufficiente, la piccola quantità di CO2 contenuta nell’aria viene rapidamente consumata tanto che non è raro che nelle ore diurne o se la serra è troppo piena di piante, ne scompaia ogni traccia.
Molta dell’anidride carbonica presente nell’aria proviene dalla decomposizione di sostanze organiche ad opera di microrganismi; aumentando quindi la sostanza organica del suolo mediante un suo artificiale apporto e favorendo l’attività microbica mediante conveniente lavorazione del suolo, si riesce a ottenere un cospicuo incremento della quantità di CO2.
La produzione di CO2 è massima nei terreni umidi e ricchi di sostanze umiche quali son quelle delle foreste; questo fatto e la protezione dal vento fanno sì che, nei boschi, l’aria è molto più ricca di anidride carbonica potendo raggiungere, nei suoi strati più bassi, una concimazione anche dello 0,08% e più (questo perché l’anidride carbonica è più pesante dell’aria). Circostanza che assume un grande valore ecologico nei riguardi delle piante del sottobosco le quali, in questa maggiore abbondanza di anidride carbonica, trovano, almeno fino a un certo punto, un compenso alla tenue intensità luminosa propria del loro ambiente.
Per facilitare anche alle essenze arboree la possibilità di beneficiare dell’anidride carbonica prodotta al suolo, occorre impedire, nel sottobosco, lo sviluppo tropo rigoglioso della flora erbacea soprattutto estirpando le piante a larghe foglie, le quali sono di grande ostacolo alle correnti di gas ascensionali. Quanto poi alla possibilità di impedire, in aperta campagna, che il gas carbonico con cui il campo è stato concimato, venga trasportato altrove dai moti dell’aria, un utile ammaestramento ci viene dato dal bosco i cui tronchi arrestano i venti. Bastano sottili cinte attorno ai campi, fatte di piante più alte di quelle coltivatevi, per imbrigliare i venti e ostacolare il deflusso della CO2; così come è stato dimostrato che una sola fila di piante di mais è sufficiente per ridurre ad un sesto la velocità del vento, ciò che permette di apprezzare sotto un punto di vista inconsueto l’utilità delle siepi di confine.
Le piante acquatiche sommerse ricorrono all’anidride carbonica disciolta nell’acqua, che nell’acqua del mare è dello 0,6%.
Se la concentrazione dell’anidride carbonica dell’aria, per la combustione dei depositi fossili, tende ad aumentare, aumenta anche l’assorbimento di essa da parte del mare; se, per converso la concentrazione di CO2 dell’aria diminuisce, anidride carbonica allo stato gassoso si svolge dal mare. Il mare esercita quindi una funzione regolatrice e stabilizzatrice della concentrazione della CO2 dell’aria.
(Informazioni tratte da un testo universitario di Botanica di qualche anno fa)
Dal 1850 in poi il tasso di CO2 è aumentato del 40%. E dato che oggi questo gas è più abbondante, le piante possono assumere l’anidride carbonica di cui hanno bisogno lasciano gli stomi meno aperti e pertanto esse conservano una maggiore quantità di acqua e resistono meglio alla siccità. Inoltre, dato che il vapore acqueo è un gas serra, se le piante ne disperdono di meno, l’effetto è raffreddante.
Ma questa, nell’ambito del ciclo del carbonio, è solo una delle numerose conseguenze di una maggiore o minore quantità di anidride carbonica nell’aria. In realtà la situazione è così complessa che nessuno ha mai dimostrato che l’anidride carbonica aggiunta all’atmosfera bruciando combustibili fossili ha causato il riscaldamento globale. C’è solo una coincidenza temporale tra l’alto livello attuale della CO2 e la temperatura raggiunta negli ultimi decenni, che però viene spiegata meglio dalle variazioni dell’attività magnetica del sole.
Al riscaldamento globale sono stati attribuiti tutti i danni e le catastrofi possibili immaginabili. Certo, se la temperatura dovesse aumentare per dei secoli, causerebbe dei profondi cambiamenti a cui dovremmo adattarci. Però sia il più alto tasso di anidride carbonica che il riscaldamento globale avvenuto finora, hanno quasi solo degli effetti positivi.
Sono tre i principali fattori che accelerano la crescita vegetativa: la temperatura, il tasso di umidità e quello dell’anidride carbonica. E più alti sono questi valori, meglio è.
Ogni pianta reagisce in maniera un po’ diversa ma, come si è visto sopra, tutte accelerano la loro velocità di crescita quando aumenta l’anidride carbonica.
Anche una temperatura e un tasso di umidità più alti di solito aumentano la velocità della crescita vegetativa. Pertanto oggi, rispetto alla piccola glaciazione di qualche secolo fa, la velocità di crescita delle piante sia selvatiche che coltivate potrebbe essere maggiore del 30 / 35%.
Qualsiasi modificazione del clima favorisce alcune specie e ne penalizza certe altre. Quando la temperatura aumenta vengono penalizzate le specie che si sono adattate al freddo, mentre quando diminuisce vengono penalizzate quelle che si sono adattate al caldo. Pertanto c’è sempre qualche specie che viene sfavorita. I documentari naturalistici non fanno che sottolineare i danni alle (pochissime) specie che vengono danneggiate dal riscaldamento globale, mentre non dicono mai che la vegetazione oggi è molto più lussureggiante, cosa di cui beneficia anche tutta la vita animale.
Inoltre spesso ci viene ricordato che l’attuale tasso di CO2 è il più alto degli ultimi 420.000 anni, come se questo fosse un fatto innaturale e negativo. In realtà più si va indietro nel tempo più aumenta nel lungo periodo il tasso di anidride carbonica atmosferico. Per esempio cento milioni di anni fa, all’epoca dei dinosauri, il tasso era 2,5 volte più alto di oggi, mentre nell’era carbonifera, 300 milioni di anni fa, era 5 volte più alto di quello attuale. E se andiamo ancora più indietro nel tempo, la CO2 aumenta ancora.
Ma da dove veniva l’anidride carbonica prima che cominciassimo a bruciare i combustibili fossili? Dalle eruzioni vulcaniche. E più andiamo indietro nel tempo nella storia della Terra, più intensa è l’attività vulcanica.
Viceversa andando avanti nel tempo l’attività vulcanica diminuisce, e con essa il tasso di CO2 atmosferico. Fino ad arrivare a prima dell’era industriale, quando il tasso era così basso che se fosse diminuito ancora per un’altra decina di milioni di anni (poco in termini geologici) molte piante non sarebbero state più in grado di sopravvivere.
Pertanto, almeno da questo punto di vista, l’aumento recente del tasso di CO2 è provvidenziale. E se venisse meno l’ipotesi del riscaldamento globale causato dalle attività antropiche, quasi tutto quello che rimane sono dei vantaggi.
Ma se invece l’ipotesi anidride carbonica alla fine risultasse vera?
Le conseguenze a lungo termine del riscaldamento globale.
Anche in questo caso, però, le conseguenze non sarebbero quelle che sono state ipotizzate.
L’IPCC, l’ente dell’ONU che si occupa del clima, ha previsto per la fine del secolo un ulteriore, forte aumento della temperatura globale, che provocherebbe tutte le catastrofi immaginabili. Nel 1990 ha delineato sei diversi scenari, che sono stati poi aggiornati più volte, nei quali l’economia cresce sempre. Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2100 il volume dell’economia mondiale nell’ipotesi minima quadruplica e in quella massima aumenta di 18 volte, mentre la temperatura aumenterebbe da 1,8 a 4 gradi centigradi.
Le temperature previste sono collegate alla crescita economica: maggiore sarà la crescita economica, più alte saranno le temperature che saranno raggiunte. Ma questo significa che i danni del surriscaldamento del pianeta sarebbero compensati da un grande aumento della prosperità, e questo specialmente nei paesi più poveri. Inoltre alcune delle ipotesi più estreme fatte dall’IPCC non sono realistiche. In un caso è stato ipotizzato che nell’anno 2100 la popolazione avrebbe raggiunto i 15 miliardi di abitanti, quasi il doppio della previsione dei demografi. In un altro che i paesi poveri sarebbero cresciuti quattro volte più velocemente del Giappone.
Infine la crescita economica è stata collegata alle emissioni di anidride carbonica: se l’economia cresce, cresce il fabbisogno di energia; se aumenta il fabbisogno di energia, aumenta il consumo dei combustibili fossili e se aumenta il consumo dei combustibili fossili aumentano, sempre nella stessa misura, le emissioni di anidride carbonica. E dato che l’aumento della temperatura globale è stato attribuito alle emissioni antropiche di questo gas serra, una forte crescita dell’economia provocherebbe un forte aumento della temperatura, con tutte le conseguenze del caso.
La soluzione sarebbe la “neutralità climatica”. Dovremmo cioè fermare la crescita economica, sostituire la normale produzione elettrica con le “energie alternative” e diminuire la quantità di anidride carbonica presente nell’aria con la “de carbonizzazione” (che è l’obiettivo dell’accordo di Parigi dell’anno 2015, che è stato sottoscritto da quasi tutti i paesi occidentali. Uno dei pochi che si erano rifiutati di firmarlo era stato il neo eletto presidente americano Trump durante il suo precedente mandato).
Però ogni singolo passaggio di questo ragionamento è smentito da quello che sta accadendo. Per di più le energie alternative, nonostante i loro costi astronomici, non sono in grado di sostituire le centrali elettriche e i combustibili fossili, e quindi nemmeno di diminuire le emissioni di gas serra (vedi l’articolo La costosa follia delle energie alternative).
Innanzi tutto il presupposto di una crescita economica sostenuta che va avanti all’infinito non è realistico. Nei paesi più sviluppati, dopo il boom economico degli anni ’50 e ’60, la produzione dei beni materiali ha raggiunto i limiti del mercato e da allora è molto diminuita per essere sostituita da quella dei servizi, che oggi occupano i tre quarti dell’economia. Ma i servizi soddisfano dei bisogni meno fondamentali che spingono l’economia con meno forza, con il risultato di un forte rallentamento della crescita economica.
Un esempio recente è la Turchia che, dopo una veloce crescita economica, da qualche anno è entrata a far parte della categoria dei paesi più sviluppati. Un grande risultato: la sconfitta di una povertà plurimillenaria! Ma proprio perché i bisogni fondamentali sono stati soddisfatti, la produzione dei beni materiali che servono a soddisfarli è stata in gran parte sostituita da quella dei servizi. Anche qui con la conseguenza di un forte rallentamento della crescita. Ma va bene così perché l’alto livello di benessere raggiunto viene comunque mantenuto e, sia pure più lentamente, incrementato.
Inoltre la produzione dei servizi, che non sono altro che beni immateriali, consuma molta meno energia, materie prime e territorio. Lo dimostrano i paesi più sviluppati, le cui economie sono fatte per il 75% di servizi, che sono oggi molto più sostenibili di 50 o 60 anni fa. Mentre i paesi emergenti stanno percorrendo questa stessa strada, che è una strada obbligata, con solo qualche decennio di ritardo (vedi l’articolo lo sviluppo come soluzione dei problemi dell'ambiente).
L’esperienza della Turchia (e di tanti altri paesi) ancora una volta dimostra che l’attuale trend di crescita dei paesi emergenti non durerà all’infinito, ma solo fino a quando anch’essi avranno raggiunto lo stesso alto livello di vita. E dato che, a seconda del loro stadio di sviluppo, essi si trovano al punto in cui noi eravamo negli anni ‘50, ‘60 e ’70, nel giro di 5, 10 o 20 anni anche loro arriveranno al punto in cui si espanderà il settore dei servizi e le loro economie subiranno un forte rallentamento.
Inoltre non è vero che uguali consumi di energia producono sempre la stessa quantità di anidride carbonica. Infatti col tempo aumenta l’efficienza con cui usiamo le risorse naturali per produrre l’energia che ci serve.
Per esempio, a partire dalla metà degli anni Novanta il carbone e il petrolio sono stati in gran parte sostituiti dal gas naturale e dalle centrali a turbogas. Le centrali a turbogas hanno un’efficienza quasi doppia di quelle che hanno sostituito e questo significa che per produrre la stessa quantità di energia elettrica esse consumano poco più della metà del combustibile. E un combustibile, il metano, che è molto più pulito del carbone e del petrolio e che a parità di calorie produce molta meno anidride carbonica.
Inoltre con le centrali a turbogas il metano è diventato quasi più importante del petrolio e non viene quasi più sprecato. Infatti fino a pochi anni fa il gas naturale che veniva su quando si estraeva il petrolio veniva bruciato appena arrivava in superficie, perché il metano miscelato con l’aria forma una miscela esplosiva. Pertanto nel calcolo bisognerebbe tenere conto anche del gas naturale che una volta veniva bruciato inutilmente appena saliva in superficie e che adesso alimenta delle centrali elettriche che per di più sono anche molto più efficienti.
Inoltre molti paesi consumano grandi quantità di carbone e lo bruciano in centrali elettriche a bassissima efficienza. E quando decideranno di sostituire il carbone con il gas naturale oppure, meglio ancora, con le centrali nucleari, le loro emissioni di anidride carbonica crolleranno. E le centrali nucleari di IV generazione sono molto più efficienti ed economiche delle attuali. Infine quando si diffonderanno le auto elettriche, esse abbatteranno i consumi di energia delle quattro ruote del 90%.
Ma quelli che lanciano dei continui allarmi sul clima hanno criminalizzato e impedito tutte le soluzioni più efficaci che vogliono sostituire con le energie alternative, che sono invece costosissime e inefficaci. E purtroppo oggi questa è la politica dell’Europa, dell’America e delle massime istituzioni internazionali per le quali i danni all’economia non bastano mai: l’Accordo di Parigi ha proprio lo scopo di moltiplicarli di altre cento volte.
E la de carbonizzazione?
Ma se anche adesso smettessimo di aggiungere anidride carbonica all’atmosfera, la sua quantità è già troppo alta, e per diminuirla l’unica soluzione sarebbe la de carbonizzazione. Cioè dovremmo sottrarre dall’aria una grossa quantità di questo gas per stoccarla in qualche profonda miniera.
In realtà anche questo è un pretesto per costringere i paesi “capitalisti” a distruggere delle altre ingenti risorse economiche. Infatti la previsione più ragionevole è che non sarà necessario, perché la ricrescita spontanea delle foreste assorbirà gran parte dell’anidride carbonica atmosferica.
La modernizzazione dell’agricoltura, in corso da molto tempo nei paesi emergenti, sta aumentando le rese agricole e sta causando l’esodo della popolazione dalle aree rurali alle città, come è avvenuto da noi nella prima metà del dopoguerra. Anche qui con la conseguenza di una ricrescita delle foreste nelle aree abbandonate, che nella fascia tropicale è ancora più veloce.
Inoltre sulla Terra ci sono in cifra tonda 10 milioni di chilometri quadrati di terreni degradati o impoveriti da secoli di agricoltura e pascolo eccessivi e che potrebbero essere rimboschiti. E gli alberi che piantiamo oggi continueranno a crescere, e a sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, per molto tempo.
Tra i terreni degradati che potrebbero essere recuperati c’è la fascia del Sahel, che ha una superficie di alcuni milioni di chilometri quadrati.
Negli ultimi anni l’Italia e la Germania hanno speso cifre assurde per ricoprire intere regioni di impianti eolici e fotovoltaici, con risultati fallimentari. Se un decimo di quello che hanno speso o che dovrebbero spendere nei prossimi anni fosse destinato al progetto Grande muraglia verde del Sahel, essi otterrebbero il doppio risultato di rinverdire grandi superfici di territorio e di sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, ammesso che questo sia un obiettivo desiderabile.
E’ questa la de carbonizzazione intelligente, perché gli alberi continueranno a crescere per dei secoli. Inoltre verrebbero create delle occasioni di vita e di lavoro per milioni di persone in una delle aree più povere del mondo. E l’Europa dovrebbe essere ancora più interessata perché è proprio da lì che parte l’immigrazione.
In definitiva l’attuale robusta crescita dei paesi emergenti non durerà all’infinito e le emissioni globali di anidride carbonica, che negli ultimi anni hanno già smesso di aumentare, alla fine del secolo saranno probabilmente molto più basse di oggi, non molto più alte. Infine la ricrescita spontanea delle foreste e i rimboschimenti continueranno a sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera per molto, molto tempo. Pertanto anche nell’ipotesi che l’anidride carbonica sia la causa del riscaldamento globale, le conseguenze non sarebbero affatto catastrofiche. Anzi, il moderato aumento della temperatura globale avvenuto finora ha conseguenze quasi solo positive, non negative.
La caduta di un dogma.
Ma allora qual è il motivo delle interminabili campagne mediatiche che spaventano l’opinione pubblica agitando la prospettiva di un drammatico aumento della temperatura globale per la fine del secolo?
Lo scopo è sempre quello di mettere sotto accusa l’economia moderna, lo sviluppo e il capitalismo. E l’ostilità è arrivata al punto da criminalizzare e impedire tutte le soluzioni migliori che abbiamo per i principali problemi di oggi, comprese le tecnologie che potrebbero abbattere le emissioni di anidride carbonica (vedi per esempio l’articolo Cambiare le politiche ambientali). Infine c’è l’Accordo di Parigi che impone oneri astronomici ai paesi sottoscrittori, praticamente in cambio di nulla.
Bjorn Lomborg nel libro “Falso Allarme” (recensito alla fine dell’articolo Politica e ambiente), ha calcolato quello che costerebbe questo Accordo ai Paesi che l’hanno sottoscritto. Per esempio c’è stato un Paese, la Nuova Zelanda, che ha calcolato quanto gli sarebbe costato: ogni anno e fino al 2100 esso avrebbe dovrebbe sostenere una spesa aggiuntiva compresa tra una a due volte il suo intero Prodotto Interno Lordo annuale, in cambio di un contributo risibile al contenimento del riscaldamento globale. Però adesso che c’è l’ipotesi solare, queste spese astronomiche diventano ancora più assurde. A questo punto la cosa migliore da fare è aspettare qualche anno per vedere cosa succede.
In ogni caso, anche se il surriscaldamento del clima fosse causato dall’anidride carbonica, ci sono delle soluzioni molto più efficaci ed economiche, come l’energia nucleare, le auto elettriche e il teleriscaldamento. E se tutto questo non fosse ancora sufficiente, ci sono dieci milioni di chilometri quadrati di terreni degradati che potrebbero essere rinverditi.
Oggi tutto quello che di negativo sta avvenendo nel mondo viene attribuito al surriscaldamento del pianeta, con la sola eccezione, per adesso, della caduta di meteoriti. E se non faremo qualcosa di drastico, se non abbandoneremo l’attuale modello di sviluppo, se non sostituiremo i combustibili fossili con le energie alternative, entro la fine del secolo lo scioglimento dei ghiacci e il conseguente sollevamento dei mari sommergeranno le città costiere.
Ma è proprio vero?
Le macchie solari e la radiazione cosmica.
Il surriscaldamento del pianeta degli ultimi decenni non è in discussione. Quello che gli scienziati stanno cercando di capire è se esso sia stato causato dall’anidride carbonica che abbiamo aggiunto all’atmosfera bruciando dei combustibili fossili, oppure dal sole.
L’energia che ci arriva dal sole è la condizione perché ci sia la vita sulla Terra. Inoltre è sempre più evidente che l’attività della nostra stella non è costante e che gli alti e bassi della sua attività possono influenzare profondamente il clima terrestre.
Anche se nei pochi anni di osservazioni la radiazione solare che arriva sulla Terra per unità di superficie (costante solare) non è cambiata di molto, ci sono altre manifestazioni della nostra stella che influenzano il clima terrestre e che sono molto più variabili. Però se potessimo conoscere il valore della costante solare per dei periodi più lunghi, probabilmente scopriremmo che anche questo fattore è variabile. Come si potrebbero spiegare altrimenti le glaciazioni e i cicli interglaciali?
La superficie del sole si trova ad una temperatura di 5.500 gradi, mentre la sua atmosfera, quella che si vede durante le eclissi e che chiamiamo corona solare, ha una temperatura di un milione di gradi. Inoltre è da questa atmosfera che nasce il vento solare.
Qual è la fonte di energia che scalda l’atmosfera del sole e alimenta il vento solare? Gli scienziati pensano che sia la sua forte attività magnetica, che nasce all’interno della stella, emerge in superficie attraverso le macchie solari e si estende in profondità nella corona. Le immagini ad alta risoluzione riprese dai satelliti mostrano degli enormi archi magnetici che nascono dal perimetro delle macchie solari, che a poco a poco si deformano e alla fine si spezzano con grandi esplosioni.
Quindi un maggior numero di macchie solari è il segno di una maggiore attività magnetica e di un più intenso vento solare. E un vento solare più intenso devia una maggiore quantità dei raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo e diminuisce la radiazione cosmica che raggiunge la Terra.
Infine gli scienziati hanno scoperto, anche se non tutti i dettagli sono stati chiariti, che la radiazione cosmica favorisce la formazione delle nuvole. Pertanto se la radiazione cosmica è più intensa si formano più nuvole, e una maggiore quantità di nuvole scherma la radiazione solare con la conseguenza che il clima si raffredda. L’abbiamo visto nell’estate del 2024, quando il cielo è rimasto coperto fino al 10 luglio, e fino a quel momento il caldo dell’estate non si era fatto sentire.
“Poiché diversi isotopi vengono prodotti dalla frammentazione di atomi colpiti dai raggi cosmici primari, è possibile determinare una variazione del flusso dei raggi cosmici misurando la concentrazione di questi isotopi - ad esempio, negli anelli degli alberi, nei nuclei di ghiaccio, nei sedimenti del fondo marino e nei meteoriti” (frase ripresa dal libro L’UNIVERSO NASCOSTO di Alessandro de Angelis – pag. 211).
Studiando questi isotopi gli scienziati hanno potuto ricostruire l’intensità della radiazione cosmica indietro nel tempo fino a 9400 anni fa. E questo dato lo hanno confrontato con il numero delle macchie solari registrato negli ultimi quattro secoli.
Questo confronto ha confermato che un numero più alto di macchie solari è correlato con una diminuzione della radiazione cosmica (vedi a pag. 221 del libro sopra citato il paragrafo “I raggi cosmici e il clima”, nonché i grafici della tavola 38 che mostrano che l’intensità della radiazione cosmica è inversamente correlata con il numero delle macchie solari).
Quindi le macchie solari sono un importante indicatore dell’attività del sole. Esse sono state osservate per la prima volta da Galileo Galilei tra il 1609 e il 1610 e poco dopo anche da altri astronomi.
All’inizio le osservazioni erano sporadiche perché erano fatte a occhio nudo, all’alba o al tramonto. Ma osservare il sole in questo modo è molto pericoloso, tanto che il Galilei ci ha rimesso la vista. Ma ben presto qualcuno si è accorto che si poteva osservare la nostra stella senza rischi proiettando su un foglio di carta l’immagine del sole formata dal cannocchiale. Da quel momento le osservazioni delle macchie solari da parte di diversi astronomi in Europa sono state sistematiche e continue, e di esse ci rimangono i disegni.
In questi quattro secoli ci sono stati due periodi significativi. Tra il 1645 e il 1715 le macchie erano quasi del tutto scomparse. E la loro scomparsa, con un ritardo di 15 / 20 anni, è coincisa con il culmine della “piccola glaciazione”, un periodo di grande freddo nel quale per esempio ogni anno a Londra il Tamigi ghiacciava e il ghiaccio era così spesso che sopra ci camminavano le carrozze e si tenevano i mercati. Ci furono anni in cui si era coperta di ghiaccio persino la laguna di Venezia.
E poi c’è un altro periodo, tra la seconda metà del Novecento e i primi anni Duemila, nel quale le macchie solari hanno raggiunto il loro livello più alto, che è coinciso con il riscaldamento globale che conosciamo.
Però questa relazione tra il numero delle macchie solari e la temperatura globale non è stata dimostrata per i cicli di macchie solari di livello intermedio. Ma ciò lo si potrebbe spiegare osservando che quando il numero delle macchie solari è molto alto o molto basso, l’effetto diventa evidente, mentre quando è su valori intermedi gli altri fattori che influenzano il clima possono “oscurare” il contributo del sole.
Infine adesso c’è un’importante novità. Il picco delle macchie solari viene raggiunto ogni 11 anni, e gli ultimi due cicli (l’ultimo è del 2024) mostrano che il loro numero si è circa dimezzato rispetto ai sei cicli precedenti, quelli nei quali le macchie erano state le più numerose degli ultimi quattro secoli.
A questo punto, se l’ipotesi solare è corretta, dovremmo aspettarci un cambiamento del clima. Da almeno una dozzina d’anni è diminuita l’attività magnetica del sole, e questo potrebbe spiegare alcuni dati climatici recenti, come l’aumento della copertura nuvolosa.
In ogni caso l’attuale fase di riscaldamento globale dovrebbe presto finire. Non subito, però, perché prima è necessario che venga smaltito il calore che si è accumulato negli ultimi decenni, e in particolare quello che ha aumentato la temperatura superficiale dei mari e degli oceani.
Ancora per un po’ di tempo le perturbazioni che vengono dall’Atlantico porteranno aria e pioggia un po’ più calde, che continueranno ad alzare la temperatura in Europa e a rendere meno frequenti le nevicate in inverno. D’altra parte diversi anni sono già trascorsi, perché questo è il secondo ciclo consecutivo in cui le macchie solari sono diminuite. Pertanto, se l’ipotesi solare è corretta, nel giro dei prossimi 5 o 6 anni dovremmo vedere dei segni inequivocabili di cambiamento: la neve dovrebbe riprendere ad accumularsi nei ghiacciai di montana e le banchise polari ad espandersi.
Rimangono però ancora alcune incognite. Nessuno al momento è in grado di prevedere come sarà, fra altri 11 anni, il prossimo ciclo delle macchie solari. Però i dati degli ultimi quattro secoli ci dicono che i cicli di macchie solari più o meno alti tendono a raggrupparsi, e gli ultimi due cicli potrebbero quindi indicare un cambiamento di tendenza.
Inoltre nessuno è in grado di spiegare perché le macchie solari hanno questa periodicità. Per capire questo e altri misteri negli ultimi anni sono stati mandati diversi veicoli spaziali ad osservare sempre più da vicino la nostra stella e la sua atmosfera.
Ma se il sole è la causa di gran lunga più probabile del riscaldamento globale, perché ci hanno fatto il lavaggio del cervello per convincerci che esso è stato causato dall’anidride carbonica?
Il ruolo dell’anidride carbonica.
La domanda è: perché si è voluto attribuire il recente surriscaldamento del pianeta all’anidride carbonica, con l’esclusione di qualsiasi altra possibile causa?
La risposta è che questa ipotesi si presta a mettere sotto accusa la società “capitalista”, la crescita economica e lo sviluppo. Infatti se questo gas serra è aumentato, è a causa delle attività umane, che così diventano responsabili anche di tutte le conseguenze negative, presenti e future, reali o inventate, che sono state attribuite al riscaldamento globale.
Questa però è una grave forzatura. Innanzi tutto l’anidride carbonica non è il principale gas serra. Il più importante è l’umidità atmosferica, perché è molto più abbondante. Ma non è altrettanto facilmente misurabile.
L’anidride carbonica si distribuisce uniformemente nell’aria, e bastano poche misure per sapere se aumenta o diminuisce. Questo non vale per il vapore acqueo. Ci sono regioni in cui l’aria è secchissima e altre in cui l’umidità è del 100%. Inoltre i venti spostano in continuazione le masse d’aria e le nuvole più o meno cariche di umidità. Pertanto se volessimo sapere se l’umidità atmosferica aumenta o diminuisce, dovremmo fare un numero infinito di misurazioni.
E poi, nonostante quello che hanno voluto farci credere, nessuno ha mai dimostrato che una maggiore quantità di anidride carbonica ha un effetto riscaldante (o raffreddante). Questo perché la CO2, prima di essere un gas serra, nell’ambito del ciclo del carbonio è il principale fattore di crescita delle piante. E quando questo gas aumenta (o diminuisce), causa una serie di conseguenze a cascata alcune delle quali hanno un effetto riscaldante e altre raffreddante. E queste conseguenze sono così complesse che nessuno è in grado di dire se alla fine ci sarà un aumento o una diminuzione della temperatura.
Il carbonio, che di tutte le sostanze organiche costituisce il componente fondamentale, viene dalla pianta introdotto, in forma gassosa, dall’atmosfera; esso penetra nei tessuti assimilanti delle foglie attraverso le aperture stomatiche. E’ evidente che, quanto più carbonio gassoso (sotto forma di anidride carbonica) entra nelle foglie, tanta più sostanza organica viene prodotta. Per arrivare a ciò occorre che non si frappongano ostacoli all’ingresso del gas e che, quindi, gli apparati stomatici siano il più possibile e permanentemente aperti. Questa condizione si verifica solo se la pianta non ha, per così dire, preoccupazioni per l’economia della propria acqua, ciò che determinerebbe la chiusura degli stomi, ma dispone di un eccesso di acqua di cui facilitare la dispersione mediante la completa apertura degli stomi.
Infatti le piante, esposte al sole, non si scaldano come potrebbe fare un sasso, ma regolano la propria temperatura emettendo vapore acqueo attraverso gli stomi.
Se la luce è sufficientemente intensa, aumentando la concentrazione della CO2 fino allo 0,3% (quasi 10 volte il suo valore normale), l’intensità della fotosintesi aumenta di circa il triplo.
Con un aumento dell’anidride carbonica fino all’8 -10%, la fotosintesi diviene sempre più rapida; un ulteriore aumento riesce dannoso e a concentrazioni del 26 – 30 % la funzione clorofilliana è impedita quasi del tutto.
Numerose esperienze hanno dimostrato che le piante concimate con anidride carbonica, oltre ad un più rapido e rigoglioso sviluppo, dimostrano anche una grandissima tendenza alla fioritura nonché una capacità molto maggiore di resistere contro ogni specie di insetti nocivi.
Per contro la concentrazione di anidride carbonica che si trova in natura è così bassa che si può dire essere, o quasi, la concentrazione minimale, quella cioè oltre la quale il processo non è più possibile.
Nelle serre, se l’aerazione è insufficiente, la piccola quantità di CO2 contenuta nell’aria viene rapidamente consumata tanto che non è raro che nelle ore diurne o se la serra è troppo piena di piante, ne scompaia ogni traccia.
Molta dell’anidride carbonica presente nell’aria proviene dalla decomposizione di sostanze organiche ad opera di microrganismi; aumentando quindi la sostanza organica del suolo mediante un suo artificiale apporto e favorendo l’attività microbica mediante conveniente lavorazione del suolo, si riesce a ottenere un cospicuo incremento della quantità di CO2.
La produzione di CO2 è massima nei terreni umidi e ricchi di sostanze umiche quali son quelle delle foreste; questo fatto e la protezione dal vento fanno sì che, nei boschi, l’aria è molto più ricca di anidride carbonica potendo raggiungere, nei suoi strati più bassi, una concimazione anche dello 0,08% e più (questo perché l’anidride carbonica è più pesante dell’aria). Circostanza che assume un grande valore ecologico nei riguardi delle piante del sottobosco le quali, in questa maggiore abbondanza di anidride carbonica, trovano, almeno fino a un certo punto, un compenso alla tenue intensità luminosa propria del loro ambiente.
Per facilitare anche alle essenze arboree la possibilità di beneficiare dell’anidride carbonica prodotta al suolo, occorre impedire, nel sottobosco, lo sviluppo tropo rigoglioso della flora erbacea soprattutto estirpando le piante a larghe foglie, le quali sono di grande ostacolo alle correnti di gas ascensionali. Quanto poi alla possibilità di impedire, in aperta campagna, che il gas carbonico con cui il campo è stato concimato, venga trasportato altrove dai moti dell’aria, un utile ammaestramento ci viene dato dal bosco i cui tronchi arrestano i venti. Bastano sottili cinte attorno ai campi, fatte di piante più alte di quelle coltivatevi, per imbrigliare i venti e ostacolare il deflusso della CO2; così come è stato dimostrato che una sola fila di piante di mais è sufficiente per ridurre ad un sesto la velocità del vento, ciò che permette di apprezzare sotto un punto di vista inconsueto l’utilità delle siepi di confine.
Le piante acquatiche sommerse ricorrono all’anidride carbonica disciolta nell’acqua, che nell’acqua del mare è dello 0,6%.
Se la concentrazione dell’anidride carbonica dell’aria, per la combustione dei depositi fossili, tende ad aumentare, aumenta anche l’assorbimento di essa da parte del mare; se, per converso la concentrazione di CO2 dell’aria diminuisce, anidride carbonica allo stato gassoso si svolge dal mare. Il mare esercita quindi una funzione regolatrice e stabilizzatrice della concentrazione della CO2 dell’aria.
(Informazioni tratte da un testo universitario di Botanica di qualche anno fa)
Dal 1850 in poi il tasso di CO2 è aumentato del 40%. E dato che oggi questo gas è più abbondante, le piante possono assumere l’anidride carbonica di cui hanno bisogno lasciano gli stomi meno aperti e pertanto esse conservano una maggiore quantità di acqua e resistono meglio alla siccità. Inoltre, dato che il vapore acqueo è un gas serra, se le piante ne disperdono di meno, l’effetto è raffreddante.
Ma questa, nell’ambito del ciclo del carbonio, è solo una delle numerose conseguenze di una maggiore o minore quantità di anidride carbonica nell’aria. In realtà la situazione è così complessa che nessuno ha mai dimostrato che l’anidride carbonica aggiunta all’atmosfera bruciando combustibili fossili ha causato il riscaldamento globale. C’è solo una coincidenza temporale tra l’alto livello attuale della CO2 e la temperatura raggiunta negli ultimi decenni, che però viene spiegata meglio dalle variazioni dell’attività magnetica del sole.
Al riscaldamento globale sono stati attribuiti tutti i danni e le catastrofi possibili immaginabili. Certo, se la temperatura dovesse aumentare per dei secoli, causerebbe dei profondi cambiamenti a cui dovremmo adattarci. Però sia il più alto tasso di anidride carbonica che il riscaldamento globale avvenuto finora, hanno quasi solo degli effetti positivi.
Sono tre i principali fattori che accelerano la crescita vegetativa: la temperatura, il tasso di umidità e quello dell’anidride carbonica. E più alti sono questi valori, meglio è.
Ogni pianta reagisce in maniera un po’ diversa ma, come si è visto sopra, tutte accelerano la loro velocità di crescita quando aumenta l’anidride carbonica.
Anche una temperatura e un tasso di umidità più alti di solito aumentano la velocità della crescita vegetativa. Pertanto oggi, rispetto alla piccola glaciazione di qualche secolo fa, la velocità di crescita delle piante sia selvatiche che coltivate potrebbe essere maggiore del 30 / 35%.
Qualsiasi modificazione del clima favorisce alcune specie e ne penalizza certe altre. Quando la temperatura aumenta vengono penalizzate le specie che si sono adattate al freddo, mentre quando diminuisce vengono penalizzate quelle che si sono adattate al caldo. Pertanto c’è sempre qualche specie che viene sfavorita. I documentari naturalistici non fanno che sottolineare i danni alle (pochissime) specie che vengono danneggiate dal riscaldamento globale, mentre non dicono mai che la vegetazione oggi è molto più lussureggiante, cosa di cui beneficia anche tutta la vita animale.
Inoltre spesso ci viene ricordato che l’attuale tasso di CO2 è il più alto degli ultimi 420.000 anni, come se questo fosse un fatto innaturale e negativo. In realtà più si va indietro nel tempo più aumenta nel lungo periodo il tasso di anidride carbonica atmosferico. Per esempio cento milioni di anni fa, all’epoca dei dinosauri, il tasso era 2,5 volte più alto di oggi, mentre nell’era carbonifera, 300 milioni di anni fa, era 5 volte più alto di quello attuale. E se andiamo ancora più indietro nel tempo, la CO2 aumenta ancora.
Ma da dove veniva l’anidride carbonica prima che cominciassimo a bruciare i combustibili fossili? Dalle eruzioni vulcaniche. E più andiamo indietro nel tempo nella storia della Terra, più intensa è l’attività vulcanica.
Viceversa andando avanti nel tempo l’attività vulcanica diminuisce, e con essa il tasso di CO2 atmosferico. Fino ad arrivare a prima dell’era industriale, quando il tasso era così basso che se fosse diminuito ancora per un’altra decina di milioni di anni (poco in termini geologici) molte piante non sarebbero state più in grado di sopravvivere.
Pertanto, almeno da questo punto di vista, l’aumento recente del tasso di CO2 è provvidenziale. E se venisse meno l’ipotesi del riscaldamento globale causato dalle attività antropiche, quasi tutto quello che rimane sono dei vantaggi.
Ma se invece l’ipotesi anidride carbonica alla fine risultasse vera?
Le conseguenze a lungo termine del riscaldamento globale.
Anche in questo caso, però, le conseguenze non sarebbero quelle che sono state ipotizzate.
L’IPCC, l’ente dell’ONU che si occupa del clima, ha previsto per la fine del secolo un ulteriore, forte aumento della temperatura globale, che provocherebbe tutte le catastrofi immaginabili. Nel 1990 ha delineato sei diversi scenari, che sono stati poi aggiornati più volte, nei quali l’economia cresce sempre. Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2100 il volume dell’economia mondiale nell’ipotesi minima quadruplica e in quella massima aumenta di 18 volte, mentre la temperatura aumenterebbe da 1,8 a 4 gradi centigradi.
Le temperature previste sono collegate alla crescita economica: maggiore sarà la crescita economica, più alte saranno le temperature che saranno raggiunte. Ma questo significa che i danni del surriscaldamento del pianeta sarebbero compensati da un grande aumento della prosperità, e questo specialmente nei paesi più poveri. Inoltre alcune delle ipotesi più estreme fatte dall’IPCC non sono realistiche. In un caso è stato ipotizzato che nell’anno 2100 la popolazione avrebbe raggiunto i 15 miliardi di abitanti, quasi il doppio della previsione dei demografi. In un altro che i paesi poveri sarebbero cresciuti quattro volte più velocemente del Giappone.
Infine la crescita economica è stata collegata alle emissioni di anidride carbonica: se l’economia cresce, cresce il fabbisogno di energia; se aumenta il fabbisogno di energia, aumenta il consumo dei combustibili fossili e se aumenta il consumo dei combustibili fossili aumentano, sempre nella stessa misura, le emissioni di anidride carbonica. E dato che l’aumento della temperatura globale è stato attribuito alle emissioni antropiche di questo gas serra, una forte crescita dell’economia provocherebbe un forte aumento della temperatura, con tutte le conseguenze del caso.
La soluzione sarebbe la “neutralità climatica”. Dovremmo cioè fermare la crescita economica, sostituire la normale produzione elettrica con le “energie alternative” e diminuire la quantità di anidride carbonica presente nell’aria con la “de carbonizzazione” (che è l’obiettivo dell’accordo di Parigi dell’anno 2015, che è stato sottoscritto da quasi tutti i paesi occidentali. Uno dei pochi che si erano rifiutati di firmarlo era stato il neo eletto presidente americano Trump durante il suo precedente mandato).
Però ogni singolo passaggio di questo ragionamento è smentito da quello che sta accadendo. Per di più le energie alternative, nonostante i loro costi astronomici, non sono in grado di sostituire le centrali elettriche e i combustibili fossili, e quindi nemmeno di diminuire le emissioni di gas serra (vedi l’articolo La costosa follia delle energie alternative).
Innanzi tutto il presupposto di una crescita economica sostenuta che va avanti all’infinito non è realistico. Nei paesi più sviluppati, dopo il boom economico degli anni ’50 e ’60, la produzione dei beni materiali ha raggiunto i limiti del mercato e da allora è molto diminuita per essere sostituita da quella dei servizi, che oggi occupano i tre quarti dell’economia. Ma i servizi soddisfano dei bisogni meno fondamentali che spingono l’economia con meno forza, con il risultato di un forte rallentamento della crescita economica.
Un esempio recente è la Turchia che, dopo una veloce crescita economica, da qualche anno è entrata a far parte della categoria dei paesi più sviluppati. Un grande risultato: la sconfitta di una povertà plurimillenaria! Ma proprio perché i bisogni fondamentali sono stati soddisfatti, la produzione dei beni materiali che servono a soddisfarli è stata in gran parte sostituita da quella dei servizi. Anche qui con la conseguenza di un forte rallentamento della crescita. Ma va bene così perché l’alto livello di benessere raggiunto viene comunque mantenuto e, sia pure più lentamente, incrementato.
Inoltre la produzione dei servizi, che non sono altro che beni immateriali, consuma molta meno energia, materie prime e territorio. Lo dimostrano i paesi più sviluppati, le cui economie sono fatte per il 75% di servizi, che sono oggi molto più sostenibili di 50 o 60 anni fa. Mentre i paesi emergenti stanno percorrendo questa stessa strada, che è una strada obbligata, con solo qualche decennio di ritardo (vedi l’articolo lo sviluppo come soluzione dei problemi dell'ambiente).
L’esperienza della Turchia (e di tanti altri paesi) ancora una volta dimostra che l’attuale trend di crescita dei paesi emergenti non durerà all’infinito, ma solo fino a quando anch’essi avranno raggiunto lo stesso alto livello di vita. E dato che, a seconda del loro stadio di sviluppo, essi si trovano al punto in cui noi eravamo negli anni ‘50, ‘60 e ’70, nel giro di 5, 10 o 20 anni anche loro arriveranno al punto in cui si espanderà il settore dei servizi e le loro economie subiranno un forte rallentamento.
Inoltre non è vero che uguali consumi di energia producono sempre la stessa quantità di anidride carbonica. Infatti col tempo aumenta l’efficienza con cui usiamo le risorse naturali per produrre l’energia che ci serve.
Per esempio, a partire dalla metà degli anni Novanta il carbone e il petrolio sono stati in gran parte sostituiti dal gas naturale e dalle centrali a turbogas. Le centrali a turbogas hanno un’efficienza quasi doppia di quelle che hanno sostituito e questo significa che per produrre la stessa quantità di energia elettrica esse consumano poco più della metà del combustibile. E un combustibile, il metano, che è molto più pulito del carbone e del petrolio e che a parità di calorie produce molta meno anidride carbonica.
Inoltre con le centrali a turbogas il metano è diventato quasi più importante del petrolio e non viene quasi più sprecato. Infatti fino a pochi anni fa il gas naturale che veniva su quando si estraeva il petrolio veniva bruciato appena arrivava in superficie, perché il metano miscelato con l’aria forma una miscela esplosiva. Pertanto nel calcolo bisognerebbe tenere conto anche del gas naturale che una volta veniva bruciato inutilmente appena saliva in superficie e che adesso alimenta delle centrali elettriche che per di più sono anche molto più efficienti.
Inoltre molti paesi consumano grandi quantità di carbone e lo bruciano in centrali elettriche a bassissima efficienza. E quando decideranno di sostituire il carbone con il gas naturale oppure, meglio ancora, con le centrali nucleari, le loro emissioni di anidride carbonica crolleranno. E le centrali nucleari di IV generazione sono molto più efficienti ed economiche delle attuali. Infine quando si diffonderanno le auto elettriche, esse abbatteranno i consumi di energia delle quattro ruote del 90%.
Ma quelli che lanciano dei continui allarmi sul clima hanno criminalizzato e impedito tutte le soluzioni più efficaci che vogliono sostituire con le energie alternative, che sono invece costosissime e inefficaci. E purtroppo oggi questa è la politica dell’Europa, dell’America e delle massime istituzioni internazionali per le quali i danni all’economia non bastano mai: l’Accordo di Parigi ha proprio lo scopo di moltiplicarli di altre cento volte.
E la de carbonizzazione?
Ma se anche adesso smettessimo di aggiungere anidride carbonica all’atmosfera, la sua quantità è già troppo alta, e per diminuirla l’unica soluzione sarebbe la de carbonizzazione. Cioè dovremmo sottrarre dall’aria una grossa quantità di questo gas per stoccarla in qualche profonda miniera.
In realtà anche questo è un pretesto per costringere i paesi “capitalisti” a distruggere delle altre ingenti risorse economiche. Infatti la previsione più ragionevole è che non sarà necessario, perché la ricrescita spontanea delle foreste assorbirà gran parte dell’anidride carbonica atmosferica.
La modernizzazione dell’agricoltura, in corso da molto tempo nei paesi emergenti, sta aumentando le rese agricole e sta causando l’esodo della popolazione dalle aree rurali alle città, come è avvenuto da noi nella prima metà del dopoguerra. Anche qui con la conseguenza di una ricrescita delle foreste nelle aree abbandonate, che nella fascia tropicale è ancora più veloce.
Inoltre sulla Terra ci sono in cifra tonda 10 milioni di chilometri quadrati di terreni degradati o impoveriti da secoli di agricoltura e pascolo eccessivi e che potrebbero essere rimboschiti. E gli alberi che piantiamo oggi continueranno a crescere, e a sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, per molto tempo.
Tra i terreni degradati che potrebbero essere recuperati c’è la fascia del Sahel, che ha una superficie di alcuni milioni di chilometri quadrati.
Negli ultimi anni l’Italia e la Germania hanno speso cifre assurde per ricoprire intere regioni di impianti eolici e fotovoltaici, con risultati fallimentari. Se un decimo di quello che hanno speso o che dovrebbero spendere nei prossimi anni fosse destinato al progetto Grande muraglia verde del Sahel, essi otterrebbero il doppio risultato di rinverdire grandi superfici di territorio e di sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, ammesso che questo sia un obiettivo desiderabile.
E’ questa la de carbonizzazione intelligente, perché gli alberi continueranno a crescere per dei secoli. Inoltre verrebbero create delle occasioni di vita e di lavoro per milioni di persone in una delle aree più povere del mondo. E l’Europa dovrebbe essere ancora più interessata perché è proprio da lì che parte l’immigrazione.
In definitiva l’attuale robusta crescita dei paesi emergenti non durerà all’infinito e le emissioni globali di anidride carbonica, che negli ultimi anni hanno già smesso di aumentare, alla fine del secolo saranno probabilmente molto più basse di oggi, non molto più alte. Infine la ricrescita spontanea delle foreste e i rimboschimenti continueranno a sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera per molto, molto tempo. Pertanto anche nell’ipotesi che l’anidride carbonica sia la causa del riscaldamento globale, le conseguenze non sarebbero affatto catastrofiche. Anzi, il moderato aumento della temperatura globale avvenuto finora ha conseguenze quasi solo positive, non negative.
La caduta di un dogma.
Ma allora qual è il motivo delle interminabili campagne mediatiche che spaventano l’opinione pubblica agitando la prospettiva di un drammatico aumento della temperatura globale per la fine del secolo?
Lo scopo è sempre quello di mettere sotto accusa l’economia moderna, lo sviluppo e il capitalismo. E l’ostilità è arrivata al punto da criminalizzare e impedire tutte le soluzioni migliori che abbiamo per i principali problemi di oggi, comprese le tecnologie che potrebbero abbattere le emissioni di anidride carbonica (vedi per esempio l’articolo Cambiare le politiche ambientali). Infine c’è l’Accordo di Parigi che impone oneri astronomici ai paesi sottoscrittori, praticamente in cambio di nulla.
Bjorn Lomborg nel libro “Falso Allarme” (recensito alla fine dell’articolo Politica e ambiente), ha calcolato quello che costerebbe questo Accordo ai Paesi che l’hanno sottoscritto. Per esempio c’è stato un Paese, la Nuova Zelanda, che ha calcolato quanto gli sarebbe costato: ogni anno e fino al 2100 esso avrebbe dovrebbe sostenere una spesa aggiuntiva compresa tra una a due volte il suo intero Prodotto Interno Lordo annuale, in cambio di un contributo risibile al contenimento del riscaldamento globale. Però adesso che c’è l’ipotesi solare, queste spese astronomiche diventano ancora più assurde. A questo punto la cosa migliore da fare è aspettare qualche anno per vedere cosa succede.
In ogni caso, anche se il surriscaldamento del clima fosse causato dall’anidride carbonica, ci sono delle soluzioni molto più efficaci ed economiche, come l’energia nucleare, le auto elettriche e il teleriscaldamento. E se tutto questo non fosse ancora sufficiente, ci sono dieci milioni di chilometri quadrati di terreni degradati che potrebbero essere rinverditi.