Paesi poveri: problema o opportunità?
In tema di ambiente e sviluppo una delle convinzioni più radicate è che la crescita economica comporti un aumento senza limiti, e quindi insostenibile, della produzione dei beni materiali.
Quello che invece succede è che nel giro di qualche decina d’anni i mercati dei beni materiali vengono saturati, e da allora la produzione non può più crescere in termini quantitativi e, a seconda dei casi, si stabilizza o si assesta su livelli più bassi.
A crescere sono invece i servizi che, essendo beni immateriali, hanno un impatto ambientale limitato. Che è uno dei fattori che rendono un’economia matura più sostenibile e, con il raggiungimento della stabilità demografica, l’unica davvero sostenibile.
Nello stesso tempo, però, un’economia di servizi è meno robusta e più volatile. Infatti i servizi soddisfano dei bisogni più sofisticati ma meno fondamentali, che spingono l’economia con meno forza. Di conseguenza la crescita economica rallenta.
L’esempio più recente è la Cina. Il più grande paese del mondo ha ormai riempito dei propri prodotti sia il mercato interno che quello mondiale e i dati degli ultimi anni parlano di un calo del trend di crescita. Anche la Cina, quindi, ha raggiunto o sta raggiungendo i suoi limiti di mercato, e per questo sta cercando di incrementare la qualità e il valore unitario dei propri prodotti. Ma anche così la sua economia non potrà più crescere ai ritmi supersonici del passato.
Cosa c’entra tutto questo con i paesi poveri? C’entra eccome, perché significa che gli unici paesi che possono ancora beneficiare di un lungo periodo di robusta crescita economica sono proprio quelli più poveri. E poiché l’Africa è la regione più povera del pianeta, è anche quella che ha le maggiori prospettive di crescita!
Diversi paesi africani, dall’Etiopia alla Nigeria, stanno già crescendo a ritmi che sono anche superiori a quelli del boom economico italiano degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma cosa bisogna fare per spingere anche il resto dell’Africa ad intraprendere lo stesso virtuoso percorso di crescita e sviluppo?
Innanzi tutto bisogna usare gli aiuti allo sviluppo per promuovere lo sviluppo e non per impedirlo. Purtroppo l’ideologia anti sviluppo ha contagiato anche le massime istituzioni internazionali, che da anni stanno bloccando gli investimenti alle infrastrutture di cui i paesi poveri hanno un disperato bisogno.
Molti paesi ricchi concedono degli aiuti ai paesi poveri, ma lo fanno per controllare le loro classi dirigenti e per convincerle a comprare i loro prodotti anche se non ne hanno bisogno.
La conseguenza è che molti paesi dell’Africa sono più poveri che mai e, peggio ancora, sono privi delle infrastrutture indispensabili per la loro crescita.
Noi abbiamo una quantità di infrastrutture che consideriamo indispensabili: strade e autostrade, ponti, ferrovie, argini, canali, fognature, dighe, centrali elettriche, reti di distribuzione dell’acqua, della luce, del gas ecc. Ma come fa per esempio un paese a svilupparsi senza vie di comunicazione?
Per fortuna la Cina dall’inizio del secolo ha creato in Africa 85 milioni di posti di lavoro, sta costruendo molte di queste infrastrutture e ha dato una forte spinta allo sviluppo del continente africano e di infrastrutture ne sta costruendo molte (vedi l’articolo Lo sviluppo dell’Africa).
Pertanto la prima cosa da fare è chiudere definitivamente l’epoca coloniale e aiutare i paesi dell’Africa a dotarsi delle infrastrutture fisiche e istituzionali che migliorano il contesto ambientale e favoriscono un autonomo processo di crescita.
Gli aiuti dovrebbero essere legati a progetti. E un progetto potrebbe essere, per esempio, una strada, praticabile in tutte le stagioni dell’anno, per far uscire dall’isolamento un’intera regione.
Ma l’Africa, per crescere, ha bisogno anche di energia. Finora i paesi dell’Africa centrale dispongono di un’unica fonte di energia, la legna da ardere ottenuta tagliando gli alberi della foresta. Ma la legna è non è in grado di sostenere la crescita economica.
Eppure una soluzione c’è: è il progetto Grande Inga, che prevede la costruzione di una serie di dighe sugli affluenti del fiume Congo che potrebbero produrre una quantità di energia sufficiente per tutta questa vasta regione.
Ma questo progetto è bloccato da molti anni. Le associazioni “ambientaliste”, dopo avere costretto diversi paesi europei a buttare enormi risorse nelle inutili energie alternative, che dovrebbero essere il punto d’arrivo della “transizione energetica”, adesso pretendono che i paesi più poveri saltino le normali produzioni elettriche e arrivino direttamente alle fonti di energia “naturali”.
Ma, come dimostra l’esperienza di paesi come l’Italia e la Germania, gli impianti eolici e fotovoltaici producono la loro energia in una forma intermittente e inaffidabile, e quindi da sole non sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di un paese. Possono solo dare un contributo limitato, per di più a costi altissimi, sia economici che ambientali.
Inoltre, a prescindere dalla loro utilità, le “energie alternative” non sono adatte ai paesi africani perché sono, appunto, troppo costose.
Gli africani invece, sono loro stessi a dirlo, vogliono dell’energia “vera”, affidabile e nello stesso tempo economica, che è indispensabile per migliorare la qualità della vita e per sostenere le attività produttive.
Infine un’altra condizione per la crescita sono le “infrastrutture” legislative. In particolare sono fondamentali la tutela da parte dello Stato del diritto di proprietà e una regolamentazione dell’economia tagliata su misura per questi paesi.
Per esempio non si possono trasferire le leggi di un paese europeo alla Tanzania: sarebbe come pretendere di applicare le leggi dell’Italia di oggi all’Italia di un secolo fa.
Nell’anno 2000 l’economista Hernando de Soto ha studiato proprio la Tanzania, e ha scoperto che il 98% delle attività economiche erano in nero. Evidentemente erano le leggi ad essere inadeguate!
Per quanto riguarda i diritti di proprietà, lo stesso de Soto osservava che in quasi tutti i paesi africani i diritti di proprietà erano arbitrari e incerti, perché non erano riconosciuti e tutelati dallo Stato.
La conseguenza era che le proprietà non potevano essere date in garanzia per ottenere un prestito dalla banca. Ma nei paesi sviluppati la maggior parte delle attività economiche sono finanziate con prestiti garantiti da proprietà immobiliari. Secondo de Soto in Africa c’erano 1.000 miliardi di dollari di capitale morto, cioè che non poteva essere usato per chiedere prestiti. E in molti paesi la situazione non è cambiata. Si può solo immaginare quale spinta riceverebbe l’economia africana se questo problema venisse risolto.
La tutela del diritto di proprietà da parte dello Stato servirebbe anche ad evitare l’esproprio dei terreni migliori da parte dei grossi gruppi economici, e costituirebbe una fonte di entrate per lo Stato stesso.
Una volta eliminati gli ostacoli alla crescita, i paesi poveri entrerebbero in una fase di espansione economica sostenuta che le economie mature non possono più conoscere.
In realtà già adesso molti paesi africani sono in pieno boom economico. E dato che sono partiti da molto indietro, avranno bisogno di più tempo prima di arrivare a saturare i mercati dei beni materiali. E questo significa che la loro crescita durerà ancora per molto tempo. E questa è una grande opportunità che le aziende italiane dovrebbero cercare di cogliere. Potrebbero instaurare delle durature relazioni commerciali, espandere la loro attività, e nello stesso tempo aiutare l’Africa a crescere.
Già adesso i paesi dell’Africa costituiscono un mercato immenso. Un discorso che vale più in generale per i paesi emergenti nei quali vive il 75% della popolazione mondiale.
L’Italia e l’Europa dovrebbero essere interessate a favorire la crescita dell’Africa anche per un altro motivo: l’immigrazione. C’è solo un modo per convincere i paesi dai quali parte l’immigrazione a metterla sotto controllo: offrire in cambio quello che desiderano di più: un po’ del nostro sviluppo!
Il rifiuto della società moderna, la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità, ha fatto sì che l’Europa abbia adottato delle politiche contrarie allo sviluppo sia nei paesi membri che in quelli più poveri del mondo. L’Europa, che l’ha inventata, oggi la società moderna la sta rinnegando, e proprio quando sta liberando dalla povertà quasi tutto il resto del mondo.
Già adesso l’Africa è un grande mercato per ogni genere di beni di consumo, e un mercato in veloce espansione. L’Italia e l’Europa potrebbero dare una grossa spinta all’area più povera del pianeta, e nello stesso tempo cogliere delle importanti opportunità economiche. Ma la condizione è l’abbandono dell’ideologia anti sviluppo di questi anni, e il riconoscimento che è proprio lo sviluppo l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Come questo sito da sempre sostiene.