BREVE STORIA DELLA DEMOCRAZIA
Nel discorso generale sull’ambiente e lo sviluppo la democrazia gioca un ruolo centrale, perché questo è lo strumento che permette di distribuire il potere e la ricchezza al popolo e di rendere la società più giusta.
Bisogna partire da quello che è un semplice dato storico: in tutte le altre epoche e civiltà, a causa della crescita demografica e della trappola della povertà, l’umanità è sempre vissuta in condizioni di miseria assoluta.
Una popolazione che cresce all’infinito, con un tasso di crescita esponenziale, rende inevitabile la scarsità delle risorse. E’ questo il fattore che rende le società del passato ad un tempo molto povere e diseguali. Infatti la crescita demografica determina una competizione dalla quale emerge una piccola minoranza che si accaparra quasi tutta la ricchezza a scapito della maggioranza che viene così a trovarsi in condizioni di totale miseria. E questa miseria è proprio inevitabile. Infatti, se la società fosse perfettamente egualitaria, ben presto la crescita demografica farebbe sì che nessuno avrebbe risorse sufficienti per vivere e tutti morirebbero di fame. Del resto questa è anche la condizione nel mondo della natura: la crescita demografica determina una competizione per le risorse che a sua volta è la causa della “selezione naturale”, il motore dell’evoluzione.
Ma allora come abbiamo fatto ad uscire dalla trappola della povertà e a conquistare quella straordinaria abbondanza rispetto a tutte le altre epoche di cui oggi, in misura maggiore o minore, godiamo tutti? E come hanno fatto ad emergere da questa condizione di miseria assoluta le prime democrazie? Infine come siamo arrivati alla società moderna, che è capace di creare così tanta ricchezza e di distribuirla all’intera popolazione?
A questo punto l’attenzione si sposta sulla prima democrazia del mondo, quella della Grecia antica. Una democrazia giustamente famosa, che ha fatto da modello a tutte quelle che sono venute dopo.
Per una discussione sulla democrazia greca e in particolare su quella ateniese si può partire dal libro dello storico Luciano Canfora “Il mondo di Atene”. Da questa analisi viene fuori un ritratto dell’Atene di Pericle che forse è un po’ diverso da quello che potremmo aspettarci.
Quella ateniese era una democrazia limitata a soli 30 mila uomini. Ma lo stato dell’Attica faceva 350.000 abitanti e la grande maggioranza erano schiavi. Inoltre un aspetto fondamentale di questa prima democrazia è la sua politica imperialista e guerrafondaia.
Molti studiosi hanno dato della democrazia ateniese dei giudizi sprezzanti. Per esempio è stata definita “una gilda che si spartisce il bottino”.
In effetti questa era una democrazia piena di contraddizioni, se la paragoniamo a quelle moderne. Ma gli elementi fondamentali ci sono già tutti. C’era una politica (imperialista e guerrafondaia) che generava ricchezza, un popolo (demos in greco) di cittadini / soldati o marinai che la attuava e dei meccanismi istituzionali controllati dal popolo stesso che la distribuivano.
La Grecia antica era all’avanguardia un po’ in tutto. Si era dotata del primo alfabeto comprensivo delle vocali che aveva facilitato la diffusione della parola scritta (ad Atene tutti i cittadini liberi sapevano leggere e scrivere).
L’alfabeto greco ha favorito lo sviluppo del pensiero e spiega l’abbondanza degli scritti storici, letterari, filosofici o scientifici, molti dei quali sono giunti fino a noi. In questo ambiente stimolante si sono formati il pensiero critico e la filosofia razionalista, a cui è seguito uno straordinario sviluppo della scienza e della tecnologia in quasi tutti i settori. A dimostrarlo ci sono anche i risultati straordinari e mai più superati nelle varie forme dell’arte: pittura, scultura, architettura, poesia, musica, teatro ecc.
Gli ateniesi erano diventati esperti anche nelle costruzioni navali e nell’arte della navigazione, dove pure non temevano concorrenza. E’ grazie a questa superiorità che avevano distrutto la flotta persiana nella battaglia di Salamina, costringendo l’esercito di terra, ormai privo del supporto logistico, a tornare nel proprio paese.
E sempre grazie a questa superiorità l’Atene di Pericle aveva attuato una politica imperialista che aveva il preciso scopo di procurare allo Stato abbondanti risorse economiche. Questo è il primo punto. Il secondo sono i meccanismi istituzionali attraverso i quali la ricchezza veniva distribuita ad un popolo di soldati o marinai che attuava questa politica.
Senza la democrazia tutta questa ricchezza sarebbe finita nella mani delle famiglie aristocratiche, mentre il popolo sarebbe stato ridotto alla fame.
Nonostante i giudizi sprezzanti di molti studiosi e nonostante tutti i suoi innegabili limiti, quella di Atene e della Grecia antica era quindi una vera democrazia, con un alto livello di competenza politica e una dialettica evoluta e sofisticata. Infatti fin da allora erano stati individuati i principali problemi dei sistemi democratici, che erano oggetto di vivace discussione. Per esempio la presenza nello stato dell’Attica di una maggioranza di schiavi che però, in quanto esseri umani, non erano diversi dai cittadini liberi.
Inoltre, anche se per dimensioni non era paragonabile alle democrazie moderne, quella ateniese è stata di gran lunga la democrazia più estesa dell’antichità.
La Res Publica romana era anch’essa una democrazia con un proprio parlamento, il Senato. Ma essa era limitata alle circa 300 famiglie nobili che erano anche le sole che avevano accesso alle cariche pubbliche attraverso il cursus honorum. Invece in Grecia era proprio il popolo che partecipava alle Assemblee e ricopriva per sorteggio diversi uffici pubblici importanti come il Tribunale.
In un secondo tempo la repubblica romana si è trasformata nell’Impero, assumendo la forma di un principato. Anche l’Atene di Pericle potrebbe essere considerata un principato, con una figura dominante che ha tirato i fili della politica per trent’anni. Nella Roma imperiale una parte della ricchezza veniva distribuita al popolo sotto forma di derrate agricole, ludi circensi e opere pubbliche intraprese per creare occasioni di lavoro. Ma questo avveniva per decisione dell’imperatore e in maniera paternalistica. Mentre ad Atene era proprio il popolo che occupava le cariche pubbliche, dove assumeva decisioni a proprio favore e contrarie agli interessi dell’elite. E a volte nell’Assemblea decideva persino le guerre.
Nei secoli successivi sia la democrazia greca che la repubblica romana hanno fatto da modello a tutte le altre esperienze di democrazia, compresa la prima democrazia moderna. Ma le condizioni fondamentali rimangono sempre le stesse: una fonte straordinaria di ricchezza, un popolo che direttamente la produce e delle istituzioni occupate o controllate dal popolo che la distribuiscono.
Nel Medioevo in Europa c’è stata un’epoca, quella dei Comuni, nella quale sono nate molte democrazie cittadine, come nell’antica Grecia.
Con la caduta dell’Impero romano le campagne e le città si erano spopolate. La maggior parte dei terreni coltivati erano stati abbandonati ed erano tornati allo stato selvaggio ricoprendosi, a seconda dei casi, di boschi o di paludi. La popolazione era talmente diminuita che a Nord delle Alpi quasi tutte le città erano scomparse.
In Italia le città non sono scomparse del tutto, ma si sono comunque spopolate. Il caso più estremo è quello di Roma, dove gli abitanti passarono da un milione di abitanti a 30.000.
L’Europa, a causa dell’insicurezza dovuta alle invasioni barbariche, è rimasta spopolata fino alla metà del decimo secolo, cioè finché non sono cessate le incursioni degli Ungari, dei Vichinghi e dei Saraceni. Ma una volta riconquistata la sicurezza è iniziata, prima lenta e poi più spedita, una lunga crescita economica e demografica, sia nelle campagne che nelle città, durata oltre tre secoli e mezzo.
Una crescita eccezionalmente lunga perché per tutto questo tempo c’erano sempre dei terreni liberi da mettere a coltura. E di solito non capita che ci siano dei terreni liberi da occupare e in così grande quantità.
E’ stata proprio questa straordinaria fonte di ricchezza la prima condizione per la nascita delle democrazie comunali. Nelle campagne vigeva il diritto feudale, mentre nelle città, dove la nobiltà non era presente o aveva un potere limitato, le corporazioni di arti e mestieri hanno imparato presto ad auto amministrarsi, dotandosi di istituzioni “democratiche” sul modello della repubblica romana. Artigiani e commercianti producevano la ricchezza, la distribuivano ai soci delle corporazioni e governavano la città attraverso delle istituzioni da loro stessi create.
Anche i successivi esperimenti di democrazia rispettano queste condizioni, per esempio l’Olanda del ‘600. Dopo avere conquistato con una lunga guerra l’indipendenza dalla Spagna, l’Olanda aveva creato una prospera economia basata sia sulla produzione artigianale che su una rete di commerci oltremare che arrivava fino all’estremo Oriente. E anche questo paese si era dotato di istituzioni all’avanguardia che in seguito hanno fatto da modello sia all’Inghilterra che ai nascenti Stati Uniti.
Viceversa la storia della Spagna è la dimostrazione che una nuova straordinaria fonte di ricchezza non è di per sé sufficiente a creare una democrazia. Dopo la scoperta dell’America le miniere del Nuovo mondo avevano inondato la Spagna con un’enorme quantità di oro e di argento. Ma questi metalli preziosi non erano “prodotti dal popolo”, ma venivano estratti dai nativi americani ridotti in schiavitù. Inoltre questa ricchezza veniva spesa dal re e dalla nobiltà in consumi di lusso e non veniva condivisa con il popolo spagnolo, che ha continuato a vivere in condizioni di estrema miseria.
Anche gli Stati Uniti hanno potuto contare su una fonte di ricchezza straordinaria: un territorio immenso, adatto sia all’agricoltura che all’allevamento, praticamente vuoto e da conquistare. Anche questa una situazione eccezionale, che può essere paragonata solo a quella dell’Europa dei Comuni. E ben presto i suoi abitanti, che avevano attraversato l’Atlantico in cerca di fortuna e che non avevano più sopra le loro teste una classe nobile, hanno creato la prima democrazia moderna. E nel progettare la loro Costituzione del 1776 si sono ispirati alle precedenti esperienze di democrazia, sia della Grecia antica che dei Comuni.
Ma poi come ha fatto questa prima democrazia rappresentativa a diffondersi in Europa e in seguito nel resto del mondo, come sta avvenendo oggi?
Ciò è stato possibile perché nel frattempo era nata l’economia industriale, una fonte di ricchezza ancora più grande di qualsiasi politica imperialista o di un immenso territorio libero (o quasi) da occupare.
L’economia moderna, inventata in Europa, ha moltiplicato la produzione dei beni e quindi la ricchezza di decine di volte. Una formula magica (rivoluzione scientifica e tecnologica, economia di mercato e libertà) che può essere copiata da qualsiasi paese e che ha dimostrato di funzionare sempre.
Il primo paese a trasformare la produzione da artigianale a industriale è stato l’Inghilterra, ben presto seguito dal resto dell’Europa.
Nell’economia moderna, però, non ci sono solo una nuova straordinaria fonte di ricchezza e dei lavoratori che la producono. Adesso i lavoratori assumono anche il ruolo di consumatori e diventano quindi doppiamente indispensabili.
Infatti per produrre una grande quantità di beni deve esserci anche un mercato in grado di assorbirli. Quindi deve esserci una vasta platea di compratori con un reddito sufficiente per acquistarli. E questi sono i lavoratori stessi.
Si può dire quindi che l’economia moderna, per funzionare, deve essere per forza democratica. Tant’è che tutti i paesi europei, man mano che si industrializzavano, si sono anche trasformati, sia pure tra grandi crisi come le due guerre mondiali, da monarchie assolute in democrazie. Ed è stata proprio la combinazione di economia moderna e democrazia che negli ultimi due secoli ha triplicato l’aspettativa di vita media mondiale.
Ma la rivoluzione industriale e le democrazie moderne hanno ottenuto anche un altro importante risultato: la fine della crescita demografica e della trappola della povertà. Infatti, raggiunto un certo livello di sviluppo, la natalità diminuisce fino al raggiungimento dell’equilibrio demografico, prima nei paesi sviluppati e poi negli emergenti, tanto che è già dalla metà degli anni Novanta che in media mondiale in numero di nuovi nati ha smesso di aumentare.
Questo nuovo equilibrio demografico, con bassi tassi di natalità e di mortalità, è la seconda condizione della la prosperità. Infatti non è sufficiente una fonte di ricchezza straordinaria e delle istituzioni controllate dal popolo che la distribuiscono, perché il miglioramento delle condizioni di vita sarebbe solo temporaneo. Per una prosperità duratura è necessario che venga raggiunto l’equilibrio demografico.
Nonostante i loro successi, però, le democrazie moderne, come quelle dell’antichità, hanno molti nemici. La democrazia ateniese ha sempre avuto molti nemici nelle famiglie ricche e potenti (che non avrebbero voluto condividere proprio nulla!).
Ma anche in Inghilterra e nel resto dell’Europa, fin dalla prima metà dell’Ottocento, sono comparsi dei movimenti intellettuali che condannavano l’economia industriale e la rivoluzione sociale e politica che si portava dietro.
Anche il marxismo, nato da una costola del romanticismo, ha assunto un atteggiamento critico verso la società moderna “capitalista”, che ha accusato di essere la causa delle ingiustizie sociali. E ha promosso una propria rivoluzione allo scopo di esautorare la borghesia economica per portare al governo le masse operaie e contadine. Ma la “dittatura del proletariato” non ha prodotto una forma più alta di democrazia, ma solo dei regimi totalitari nei quali la libertà e il mercato sono stati aboliti. Delle dittature assolute come mai se n’erano viste che basavano il loro potere su un imponente apparato di polizia e su un altrettanto imponente sistema di propaganda.
Questi regimi alla fine sono falliti (rimane solo la Corea del Nord a dimostrarne l’assoluta disumanità) perché un’economia per prosperare ha bisogno di un mercato che funziona, di un alto grado di libertà personale e di istituzioni democratiche. Negli ultimi decenni, dopo la fine del maoismo in Cina e del comunismo in Russia, il modello della società moderna è stato adottato in quasi tutto il resto del mondo, sempre con il risultato di un grande arretramento della povertà e di un avanzamento della libertà e della democrazia.
Ma nei paesi “occidentali” che non hanno mai conosciuto i regimi di tipo sovietico, di marxisti e di nemici della società moderna ce ne sono ancora molti. E alla tradizionale accusa di essere la causa delle ingiustizie sociali (!), hanno aggiunto quella di essere insostenibile sul piano ambientale. Ma anche qui sbagliano, perché quella in cui viviamo è l’unica società sostenibile anche sul piano ambientale. Lo dimostrano i paesi più sviluppati che sono oggi, quasi da ogni punto di vista, molto più sostenibili di 50 o 60 anni fa, che è un o dei temi ricorrenti di questo sito.
I paesi emergenti non sono stati contagiati da questa follia. Infatti essi stanno crescendo in fretta e sono loro che adesso a portare avanti il testimone della democrazia. Anche quando, come la Cina, non hanno una democrazia elettiva.
Ma comunque di democrazia si tratta perché le condizioni ci sono tutte: un sistema economico che moltiplica la ricchezza, un popolo di lavoratori – consumatori che la produce e un sistema politico che la ridistribuisce. La “Repubblica Popolare Cinese” fa davvero gli interessi dei propri cittadini, ai quali garantisce anche uno spazio di libertà personale non molto diverso dal nostro, anche se con delle limitazioni che noi non abbiamo.
Ai paesi emergenti bisogna quindi riconoscere i grandi risultati che hanno raggiunto o che stanno raggiungendo con la crescita degli ultimi decenni. E questo mentre le “grandi democrazie” assumevano delle politiche punitive per l’economia e in definitiva anche per la democrazia.
Le democrazie occidentali possono proporsi come esempio per gli altri paesi e spingerli a diventare più liberi e democratici solo se si rafforzano e dimostrano di essere migliori. E per diventare migliori devono abbandonare certe politiche alternative e fallimentari in settori strategici come quello dell’energia e promuovere lo sviluppo in casa propria e nei paesi più poveri, invece di fare il contrario.
Oggi è diventato di nuovo importante parlare di democrazia. Come la storia dimostra, per il buon funzionamento di una democrazia non servono solo delle istituzioni che permettano al popolo di orientare a proprio favore le decisioni politiche (ma in Italia dopo 75 anni gli elettori non possono ancora scegliere chi li deve governare!). E’ necessario anche un sistema economico capace di creare nuova ricchezza perché, più un paese è prospero, più è facile che sia democratico. Viceversa le crisi economiche aumentano le tensioni nella società e creano delle difficoltà alle istituzioni democratiche.
I nemici della società moderna lo sanno bene e per questo hanno messo sotto accusa sia la produzione che i consumi. Hanno trasformato gli imprenditori in “capitalisti” che, con la loro bramosia di arricchirsi , sarebbero la causa delle ingiustizie sociali. In realtà gli imprenditori giocano un ruolo fondamentale per l’economia e per la creazione di posti di lavoro, perché sono pochi quelli che riescono ad inventarsi dei beni e dei servizi e ad organizzarne la produzione e la vendita in un mercato competitivo.
Inoltre hanno condannato il “consumismo”, che invece rende ancora più importante il ruolo del popolo e contribuisce a rafforzare la democrazia.
Ma la prima condizione per l’esistenza della democrazia è la libertà, che è anche un valore in sé, che già solo per questo merita di essere difesa da chi la vorrebbe limitare con i più assurdi pretesti.
Questo articolo sulla democrazia, così come tutto il sito di Ecofantascienza, è dedicato ai giovani. Perché non debbano impiegarci una vita, come ha dovuto fare chi scrive, per capire come va il mondo. Per loro sarà sufficiente leggere qualche pagina.
Bisogna partire da quello che è un semplice dato storico: in tutte le altre epoche e civiltà, a causa della crescita demografica e della trappola della povertà, l’umanità è sempre vissuta in condizioni di miseria assoluta.
Una popolazione che cresce all’infinito, con un tasso di crescita esponenziale, rende inevitabile la scarsità delle risorse. E’ questo il fattore che rende le società del passato ad un tempo molto povere e diseguali. Infatti la crescita demografica determina una competizione dalla quale emerge una piccola minoranza che si accaparra quasi tutta la ricchezza a scapito della maggioranza che viene così a trovarsi in condizioni di totale miseria. E questa miseria è proprio inevitabile. Infatti, se la società fosse perfettamente egualitaria, ben presto la crescita demografica farebbe sì che nessuno avrebbe risorse sufficienti per vivere e tutti morirebbero di fame. Del resto questa è anche la condizione nel mondo della natura: la crescita demografica determina una competizione per le risorse che a sua volta è la causa della “selezione naturale”, il motore dell’evoluzione.
Ma allora come abbiamo fatto ad uscire dalla trappola della povertà e a conquistare quella straordinaria abbondanza rispetto a tutte le altre epoche di cui oggi, in misura maggiore o minore, godiamo tutti? E come hanno fatto ad emergere da questa condizione di miseria assoluta le prime democrazie? Infine come siamo arrivati alla società moderna, che è capace di creare così tanta ricchezza e di distribuirla all’intera popolazione?
A questo punto l’attenzione si sposta sulla prima democrazia del mondo, quella della Grecia antica. Una democrazia giustamente famosa, che ha fatto da modello a tutte quelle che sono venute dopo.
Per una discussione sulla democrazia greca e in particolare su quella ateniese si può partire dal libro dello storico Luciano Canfora “Il mondo di Atene”. Da questa analisi viene fuori un ritratto dell’Atene di Pericle che forse è un po’ diverso da quello che potremmo aspettarci.
Quella ateniese era una democrazia limitata a soli 30 mila uomini. Ma lo stato dell’Attica faceva 350.000 abitanti e la grande maggioranza erano schiavi. Inoltre un aspetto fondamentale di questa prima democrazia è la sua politica imperialista e guerrafondaia.
Molti studiosi hanno dato della democrazia ateniese dei giudizi sprezzanti. Per esempio è stata definita “una gilda che si spartisce il bottino”.
In effetti questa era una democrazia piena di contraddizioni, se la paragoniamo a quelle moderne. Ma gli elementi fondamentali ci sono già tutti. C’era una politica (imperialista e guerrafondaia) che generava ricchezza, un popolo (demos in greco) di cittadini / soldati o marinai che la attuava e dei meccanismi istituzionali controllati dal popolo stesso che la distribuivano.
La Grecia antica era all’avanguardia un po’ in tutto. Si era dotata del primo alfabeto comprensivo delle vocali che aveva facilitato la diffusione della parola scritta (ad Atene tutti i cittadini liberi sapevano leggere e scrivere).
L’alfabeto greco ha favorito lo sviluppo del pensiero e spiega l’abbondanza degli scritti storici, letterari, filosofici o scientifici, molti dei quali sono giunti fino a noi. In questo ambiente stimolante si sono formati il pensiero critico e la filosofia razionalista, a cui è seguito uno straordinario sviluppo della scienza e della tecnologia in quasi tutti i settori. A dimostrarlo ci sono anche i risultati straordinari e mai più superati nelle varie forme dell’arte: pittura, scultura, architettura, poesia, musica, teatro ecc.
Gli ateniesi erano diventati esperti anche nelle costruzioni navali e nell’arte della navigazione, dove pure non temevano concorrenza. E’ grazie a questa superiorità che avevano distrutto la flotta persiana nella battaglia di Salamina, costringendo l’esercito di terra, ormai privo del supporto logistico, a tornare nel proprio paese.
E sempre grazie a questa superiorità l’Atene di Pericle aveva attuato una politica imperialista che aveva il preciso scopo di procurare allo Stato abbondanti risorse economiche. Questo è il primo punto. Il secondo sono i meccanismi istituzionali attraverso i quali la ricchezza veniva distribuita ad un popolo di soldati o marinai che attuava questa politica.
Senza la democrazia tutta questa ricchezza sarebbe finita nella mani delle famiglie aristocratiche, mentre il popolo sarebbe stato ridotto alla fame.
Nonostante i giudizi sprezzanti di molti studiosi e nonostante tutti i suoi innegabili limiti, quella di Atene e della Grecia antica era quindi una vera democrazia, con un alto livello di competenza politica e una dialettica evoluta e sofisticata. Infatti fin da allora erano stati individuati i principali problemi dei sistemi democratici, che erano oggetto di vivace discussione. Per esempio la presenza nello stato dell’Attica di una maggioranza di schiavi che però, in quanto esseri umani, non erano diversi dai cittadini liberi.
Inoltre, anche se per dimensioni non era paragonabile alle democrazie moderne, quella ateniese è stata di gran lunga la democrazia più estesa dell’antichità.
La Res Publica romana era anch’essa una democrazia con un proprio parlamento, il Senato. Ma essa era limitata alle circa 300 famiglie nobili che erano anche le sole che avevano accesso alle cariche pubbliche attraverso il cursus honorum. Invece in Grecia era proprio il popolo che partecipava alle Assemblee e ricopriva per sorteggio diversi uffici pubblici importanti come il Tribunale.
In un secondo tempo la repubblica romana si è trasformata nell’Impero, assumendo la forma di un principato. Anche l’Atene di Pericle potrebbe essere considerata un principato, con una figura dominante che ha tirato i fili della politica per trent’anni. Nella Roma imperiale una parte della ricchezza veniva distribuita al popolo sotto forma di derrate agricole, ludi circensi e opere pubbliche intraprese per creare occasioni di lavoro. Ma questo avveniva per decisione dell’imperatore e in maniera paternalistica. Mentre ad Atene era proprio il popolo che occupava le cariche pubbliche, dove assumeva decisioni a proprio favore e contrarie agli interessi dell’elite. E a volte nell’Assemblea decideva persino le guerre.
Nei secoli successivi sia la democrazia greca che la repubblica romana hanno fatto da modello a tutte le altre esperienze di democrazia, compresa la prima democrazia moderna. Ma le condizioni fondamentali rimangono sempre le stesse: una fonte straordinaria di ricchezza, un popolo che direttamente la produce e delle istituzioni occupate o controllate dal popolo che la distribuiscono.
Nel Medioevo in Europa c’è stata un’epoca, quella dei Comuni, nella quale sono nate molte democrazie cittadine, come nell’antica Grecia.
Con la caduta dell’Impero romano le campagne e le città si erano spopolate. La maggior parte dei terreni coltivati erano stati abbandonati ed erano tornati allo stato selvaggio ricoprendosi, a seconda dei casi, di boschi o di paludi. La popolazione era talmente diminuita che a Nord delle Alpi quasi tutte le città erano scomparse.
In Italia le città non sono scomparse del tutto, ma si sono comunque spopolate. Il caso più estremo è quello di Roma, dove gli abitanti passarono da un milione di abitanti a 30.000.
L’Europa, a causa dell’insicurezza dovuta alle invasioni barbariche, è rimasta spopolata fino alla metà del decimo secolo, cioè finché non sono cessate le incursioni degli Ungari, dei Vichinghi e dei Saraceni. Ma una volta riconquistata la sicurezza è iniziata, prima lenta e poi più spedita, una lunga crescita economica e demografica, sia nelle campagne che nelle città, durata oltre tre secoli e mezzo.
Una crescita eccezionalmente lunga perché per tutto questo tempo c’erano sempre dei terreni liberi da mettere a coltura. E di solito non capita che ci siano dei terreni liberi da occupare e in così grande quantità.
E’ stata proprio questa straordinaria fonte di ricchezza la prima condizione per la nascita delle democrazie comunali. Nelle campagne vigeva il diritto feudale, mentre nelle città, dove la nobiltà non era presente o aveva un potere limitato, le corporazioni di arti e mestieri hanno imparato presto ad auto amministrarsi, dotandosi di istituzioni “democratiche” sul modello della repubblica romana. Artigiani e commercianti producevano la ricchezza, la distribuivano ai soci delle corporazioni e governavano la città attraverso delle istituzioni da loro stessi create.
Anche i successivi esperimenti di democrazia rispettano queste condizioni, per esempio l’Olanda del ‘600. Dopo avere conquistato con una lunga guerra l’indipendenza dalla Spagna, l’Olanda aveva creato una prospera economia basata sia sulla produzione artigianale che su una rete di commerci oltremare che arrivava fino all’estremo Oriente. E anche questo paese si era dotato di istituzioni all’avanguardia che in seguito hanno fatto da modello sia all’Inghilterra che ai nascenti Stati Uniti.
Viceversa la storia della Spagna è la dimostrazione che una nuova straordinaria fonte di ricchezza non è di per sé sufficiente a creare una democrazia. Dopo la scoperta dell’America le miniere del Nuovo mondo avevano inondato la Spagna con un’enorme quantità di oro e di argento. Ma questi metalli preziosi non erano “prodotti dal popolo”, ma venivano estratti dai nativi americani ridotti in schiavitù. Inoltre questa ricchezza veniva spesa dal re e dalla nobiltà in consumi di lusso e non veniva condivisa con il popolo spagnolo, che ha continuato a vivere in condizioni di estrema miseria.
Anche gli Stati Uniti hanno potuto contare su una fonte di ricchezza straordinaria: un territorio immenso, adatto sia all’agricoltura che all’allevamento, praticamente vuoto e da conquistare. Anche questa una situazione eccezionale, che può essere paragonata solo a quella dell’Europa dei Comuni. E ben presto i suoi abitanti, che avevano attraversato l’Atlantico in cerca di fortuna e che non avevano più sopra le loro teste una classe nobile, hanno creato la prima democrazia moderna. E nel progettare la loro Costituzione del 1776 si sono ispirati alle precedenti esperienze di democrazia, sia della Grecia antica che dei Comuni.
Ma poi come ha fatto questa prima democrazia rappresentativa a diffondersi in Europa e in seguito nel resto del mondo, come sta avvenendo oggi?
Ciò è stato possibile perché nel frattempo era nata l’economia industriale, una fonte di ricchezza ancora più grande di qualsiasi politica imperialista o di un immenso territorio libero (o quasi) da occupare.
L’economia moderna, inventata in Europa, ha moltiplicato la produzione dei beni e quindi la ricchezza di decine di volte. Una formula magica (rivoluzione scientifica e tecnologica, economia di mercato e libertà) che può essere copiata da qualsiasi paese e che ha dimostrato di funzionare sempre.
Il primo paese a trasformare la produzione da artigianale a industriale è stato l’Inghilterra, ben presto seguito dal resto dell’Europa.
Nell’economia moderna, però, non ci sono solo una nuova straordinaria fonte di ricchezza e dei lavoratori che la producono. Adesso i lavoratori assumono anche il ruolo di consumatori e diventano quindi doppiamente indispensabili.
Infatti per produrre una grande quantità di beni deve esserci anche un mercato in grado di assorbirli. Quindi deve esserci una vasta platea di compratori con un reddito sufficiente per acquistarli. E questi sono i lavoratori stessi.
Si può dire quindi che l’economia moderna, per funzionare, deve essere per forza democratica. Tant’è che tutti i paesi europei, man mano che si industrializzavano, si sono anche trasformati, sia pure tra grandi crisi come le due guerre mondiali, da monarchie assolute in democrazie. Ed è stata proprio la combinazione di economia moderna e democrazia che negli ultimi due secoli ha triplicato l’aspettativa di vita media mondiale.
Ma la rivoluzione industriale e le democrazie moderne hanno ottenuto anche un altro importante risultato: la fine della crescita demografica e della trappola della povertà. Infatti, raggiunto un certo livello di sviluppo, la natalità diminuisce fino al raggiungimento dell’equilibrio demografico, prima nei paesi sviluppati e poi negli emergenti, tanto che è già dalla metà degli anni Novanta che in media mondiale in numero di nuovi nati ha smesso di aumentare.
Questo nuovo equilibrio demografico, con bassi tassi di natalità e di mortalità, è la seconda condizione della la prosperità. Infatti non è sufficiente una fonte di ricchezza straordinaria e delle istituzioni controllate dal popolo che la distribuiscono, perché il miglioramento delle condizioni di vita sarebbe solo temporaneo. Per una prosperità duratura è necessario che venga raggiunto l’equilibrio demografico.
Nonostante i loro successi, però, le democrazie moderne, come quelle dell’antichità, hanno molti nemici. La democrazia ateniese ha sempre avuto molti nemici nelle famiglie ricche e potenti (che non avrebbero voluto condividere proprio nulla!).
Ma anche in Inghilterra e nel resto dell’Europa, fin dalla prima metà dell’Ottocento, sono comparsi dei movimenti intellettuali che condannavano l’economia industriale e la rivoluzione sociale e politica che si portava dietro.
Anche il marxismo, nato da una costola del romanticismo, ha assunto un atteggiamento critico verso la società moderna “capitalista”, che ha accusato di essere la causa delle ingiustizie sociali. E ha promosso una propria rivoluzione allo scopo di esautorare la borghesia economica per portare al governo le masse operaie e contadine. Ma la “dittatura del proletariato” non ha prodotto una forma più alta di democrazia, ma solo dei regimi totalitari nei quali la libertà e il mercato sono stati aboliti. Delle dittature assolute come mai se n’erano viste che basavano il loro potere su un imponente apparato di polizia e su un altrettanto imponente sistema di propaganda.
Questi regimi alla fine sono falliti (rimane solo la Corea del Nord a dimostrarne l’assoluta disumanità) perché un’economia per prosperare ha bisogno di un mercato che funziona, di un alto grado di libertà personale e di istituzioni democratiche. Negli ultimi decenni, dopo la fine del maoismo in Cina e del comunismo in Russia, il modello della società moderna è stato adottato in quasi tutto il resto del mondo, sempre con il risultato di un grande arretramento della povertà e di un avanzamento della libertà e della democrazia.
Ma nei paesi “occidentali” che non hanno mai conosciuto i regimi di tipo sovietico, di marxisti e di nemici della società moderna ce ne sono ancora molti. E alla tradizionale accusa di essere la causa delle ingiustizie sociali (!), hanno aggiunto quella di essere insostenibile sul piano ambientale. Ma anche qui sbagliano, perché quella in cui viviamo è l’unica società sostenibile anche sul piano ambientale. Lo dimostrano i paesi più sviluppati che sono oggi, quasi da ogni punto di vista, molto più sostenibili di 50 o 60 anni fa, che è un o dei temi ricorrenti di questo sito.
I paesi emergenti non sono stati contagiati da questa follia. Infatti essi stanno crescendo in fretta e sono loro che adesso a portare avanti il testimone della democrazia. Anche quando, come la Cina, non hanno una democrazia elettiva.
Ma comunque di democrazia si tratta perché le condizioni ci sono tutte: un sistema economico che moltiplica la ricchezza, un popolo di lavoratori – consumatori che la produce e un sistema politico che la ridistribuisce. La “Repubblica Popolare Cinese” fa davvero gli interessi dei propri cittadini, ai quali garantisce anche uno spazio di libertà personale non molto diverso dal nostro, anche se con delle limitazioni che noi non abbiamo.
Ai paesi emergenti bisogna quindi riconoscere i grandi risultati che hanno raggiunto o che stanno raggiungendo con la crescita degli ultimi decenni. E questo mentre le “grandi democrazie” assumevano delle politiche punitive per l’economia e in definitiva anche per la democrazia.
Le democrazie occidentali possono proporsi come esempio per gli altri paesi e spingerli a diventare più liberi e democratici solo se si rafforzano e dimostrano di essere migliori. E per diventare migliori devono abbandonare certe politiche alternative e fallimentari in settori strategici come quello dell’energia e promuovere lo sviluppo in casa propria e nei paesi più poveri, invece di fare il contrario.
Oggi è diventato di nuovo importante parlare di democrazia. Come la storia dimostra, per il buon funzionamento di una democrazia non servono solo delle istituzioni che permettano al popolo di orientare a proprio favore le decisioni politiche (ma in Italia dopo 75 anni gli elettori non possono ancora scegliere chi li deve governare!). E’ necessario anche un sistema economico capace di creare nuova ricchezza perché, più un paese è prospero, più è facile che sia democratico. Viceversa le crisi economiche aumentano le tensioni nella società e creano delle difficoltà alle istituzioni democratiche.
I nemici della società moderna lo sanno bene e per questo hanno messo sotto accusa sia la produzione che i consumi. Hanno trasformato gli imprenditori in “capitalisti” che, con la loro bramosia di arricchirsi , sarebbero la causa delle ingiustizie sociali. In realtà gli imprenditori giocano un ruolo fondamentale per l’economia e per la creazione di posti di lavoro, perché sono pochi quelli che riescono ad inventarsi dei beni e dei servizi e ad organizzarne la produzione e la vendita in un mercato competitivo.
Inoltre hanno condannato il “consumismo”, che invece rende ancora più importante il ruolo del popolo e contribuisce a rafforzare la democrazia.
Ma la prima condizione per l’esistenza della democrazia è la libertà, che è anche un valore in sé, che già solo per questo merita di essere difesa da chi la vorrebbe limitare con i più assurdi pretesti.
Questo articolo sulla democrazia, così come tutto il sito di Ecofantascienza, è dedicato ai giovani. Perché non debbano impiegarci una vita, come ha dovuto fare chi scrive, per capire come va il mondo. Per loro sarà sufficiente leggere qualche pagina.