CAMBIARE LE POLITICHE AMBIENTALI

II lungo lavoro al sito di Ecofantascienza ha prodotto un’analisi del tema ambiente e sviluppo che è forse la più completa che sia stata fatta finora. Essa arriva alla conclusione che la società moderna è l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale mai comparso nella storia umana.
Un’altra conclusione, anch’essa non del tutto ovvia, è che per tutti i principali problemi di oggi ci sono già delle soluzioni praticabili, convenienti e alla nostra portata. E’necessario che tutti le conoscano per sostenerle e spingerle avanti.
Infine per quanto riguarda gli allarmi sul clima oggi i dati scientifici ci stanno dicendo che probabilmente è il sole la causa del riscaldamento globale, non l’anidride carbonica, che è invece il principale fertilizzante delle piante.
Qui vengono descritte le proposte elaborate da questo sito per i principali problemi di oggi che sono quelli della produzione del cibo e dell’energia. Il presupposto comune è la stabilità demografica, che a sua volta è la condizione perché la domanda del cibo, dell’energia e degli altri beni non aumenti all’infinito. Ma l’equilibrio demografico lo stiamo già raggiungendo perché sono ormai trent’anni che in media mondiale il numero di nuovi nati ha smesso di crescere. Raggiunto questo risultato quello che rimane da fare è aumentare l’efficienza con cui sfruttiamo il territorio per la produzione del cibo e trovare delle soluzioni sempre più economiche e sostenibili per la produzione dell’energia.




LA PRODUZIONE DEL CIBO
Per quanto riguarda il cibo la modernizzazione dell’agricoltura e l’aumento delle rese agricole hanno già liberato da una fame endemica l’intera popolazione mondiale e nei paesi più sviluppati hanno anche reso molto più sostenibili le attività agricole. Infatti l’aumento della produttività ha reso non più necessario lo sfruttamento dei terreni poveri e marginali nelle zone di montagna con la conseguenza che sono raddoppiate le superfici forestali, molte aree aperte sono state restituite alla natura ed è tornata la fauna selvatica.
Nei paesi emergenti la combinazione tra aumento delle rese agricole, crollo della natalità e modernizzazione dell’agricoltura ha dato avvio al grande esodo della popolazione dalle aree rurali alle città (come era già avvenuto da noi negli anni ’50, ’60 e ’70) con la conseguenza che molti terreni agricoli e da pascolo sono stati abbandonati e, ancora più velocemente nella fascia equatoriale, vengono a poco a poco riconquistati dalla foresta. Inoltre molte aree degradate sono state rimboschite e vengono istituiti sempre nuovi parchi naturali.
Molti però non si accorgono di questo cambiamento epocale perché da qualche altra parte ci sono ancora delle foreste che vengono abbattute per farne pascoli e coltivazioni. E anche perché ci vogliono decine di anni perché si riformi una foresta matura. Però già da molto tempo la ricrescita supera gli abbattimenti e questo esodo su scala globale è ancora lontano dall’essersi concluso.
Ma si potrebbe fare ancora di più. Oggi la scienza che si occupa dell’alimentazione, che è il fattore più importante che determina la nostra salute, ci sta dicendo che per prevenire tutte le malattie più diffuse la prima cosa da fare è diminuire il consumo delle proteine animali (vedi l’articolo Alimentazione e salute - The China study).In media in Europa dovremmo quasi dimezzarle, ma dovremmo diminuirle anche nei paesi emergenti che, man mano che crescono, imitano gli stili di consumo dei paesi più ricchi. E dato che per produrre carne, latte e latticini bisogna esercitare un impatto ambientale da 5 a 10 volte superiore rispetto ai vegetali, se noi seguissimo i suggerimenti degli scienziati ci guadagneremmo in salute e faremmo diminuire le grandi monocolture di granaglie necessarie per gli allevamenti, che sono la forma di agricoltura meno sostenibile. E diminuirebbero anche gli allevamenti di bovini allo stato brado che hanno causato l’abbattimento di molte foreste.
Ma si potrebbero anche allevare animali da carne diversi dai bovini. L’idea risale all’ormai lontano 1992 e proviene da un biologo famoso, il prof. Edward O. Wilson, da poco scomparso. Questo scienziato aveva lavorato per molti anni in Sud America e osservava che nel bacino amazzonico sempre nuovi tratti di foresta venivano abbattuti per ricavarne terreni da pascolo. Egli sapeva che lì vivono sette specie di tartarughe appartenenti ad un unico genere, tutte ricercate per la loro carne e per questo intensamente cacciate. Sono tartarughe acquatiche, vegetariane e a crescita rapida, la più grande delle quali, Podocnemis espansa, raggiunge i 50 chili di peso e quasi il metro di lunghezza. Il professor Wilson aveva proposto di allevarle in bacini chiusi e di alimentarle con piante acquatiche raccolte in paludi vicine o con frutta di scarto, sostenendo che avrebbero reso 400 volte più carne per ettaro degli allevamenti bovini allo stato brado (vedi “La diversità della vita” - BUR Rizzoli editore – anno 2009 – pag. 404 / 405). Però questa idea, presentata in un libro che è divenuto un best seller dell’ambientalismo, non è mai stata raccolta da nessuno, forse perché in Sud America non c’è interesse per una produzione di carne alternativa. Ma questa proposta va bene per l’Africa e forse anche per il Sud Est asiatico. Nell’Africa occidentale, ricca di foreste, paludi e corsi d’acqua ma priva di terreni da pascolo, il fabbisogno di proteine animali è in gran parte soddisfatto dalla caccia agli animali della foresta. Con la crescita demografica dell’ultimo secolo, però, la pressione sulla fauna selvatica è diventata insostenibile. Per rifornire i mercati cittadini vengono cacciati anche scimpanzé e gorilla, i nostri parenti più prossimi nel regno animale, che per questo sono stati decimati.
Tra le prede che vengono cacciate ci sono anche delle tartarughe. La proposta è di incaricare dei biologi che lavorano in Africa di individuare qualche specie adatta e di studiarne le condizioni di vita fino ad arrivare ad un allevamento prototipo.
La validità di simili allevamenti è stata già dimostrata per i coccodrilli e i caimani. Il mercato richiede la pelle di coccodrillo per farne scarpe e borse, e fino a poco tempo fa la domanda era soddisfatta dalla caccia di frodo, che però aveva ridotto ad un decimo il numero di questi rettili. Ma da quando sono stati creati gli allevamenti il bracconaggio è stato messo fuori gioco e i coccodrilli e i caimani che vivono allo stato selvatico sono tornati sui loro valori originari. Per questi allevamenti le uova vengono raccolte nei nidi dei rettili che vivono allo stato selvatico. Ma per le tartarughe potrebbero essere allevati degli esemplari a scopo riproduttivo. In realtà si potrebbero produrre anche delle uova per il consumo diretto. Si otterrebbe anche il guscio o carapace. Non sarà il pregiato materiale con cui una volta si facevano le montature per gli occhiali, perché esso veniva da alcune tartarughe marine che oggi sono specie protette. Ma il carapace delle tartarughe di allevamento sarebbe comunque un materiale adatto per molti prodotti artigianali. Un esempio potrebbe essere il pettinino usato per la grafica di questo sito. L’unico limite è la fantasia.
Infine potremmo aumentare la produttività agricola sfruttando l’anidride carbonica. Oggi vengono lanciati continui e insistenti allarmi sul clima. Solo in Italia siamo già stati costretti a spendere diverse centinaia di miliardi per le energie alternative, che però sono ancora nulla rispetto a quello che dovremmo ancora spendere in base all’Accordo di Parigi per raggiungere la “neutralità climatica” (vedi a questo proposito il libro Falso Allarme di B. Lomborg). Ma l’accusa all’anidride carbonica di essere la causa del riscaldamento globale, che oltre tutto è quasi sicuramente sbagliata, ci impedisce di accorgerci che questo gas in realtà è il principale fattore di crescita delle piante, nel senso che più ce n’è meglio è perché aumenta la velocità della fotosintesi e la creazione di nuova massa vegetale. Di conseguenza anche la vita animale diventerebbe più ricca e i raccolti più abbondanti (vedi il paragrafo “Il ruolo dell’anidride carbonica” nell’articolo “Reimpostare la discussione sul clima”).
Oggi produciamo quasi tutta l’energia elettrica in centrali a metano, un gas che brucia senza inquinare e che quindi è una fonte pulita di anidride carbonica. L’anidride carbonica viene già usata per aumentare la produttività all’interno delle serre, ma la si potrebbe usare anche in molte coltivazioni di frutta e verdura in campo aperto.
Questo gas è più pesante dell’aria e in assenza di vento si stratifica a livello del suolo. Pertanto per impedire che il vento lo disperda bisogna circondare i campi con delle barriere alte almeno quanto le piante coltivate. Prima però bisogna raffreddare il gas di combustione delle centrali elettriche fino a portarlo a temperatura ambiente perché non si disperda verso l’alto. Una volta raffreddato lo potremmo far arrivare con dei tubi nei campi coltivati.
Una delle coltivazioni più adatte potrebbe essere quella degli aranci e dei limoni, perché queste piante hanno una chioma molto folta che copre completamente il terreno e che è quindi essa stessa una barriera anti vento. Ma questa soluzione sarebbe adatta anche per la coltivazione di ortaggi.
Ricerche fatte fin dalla metà dell’Ottocento ci dicono che se il tasso di anidride carbonica triplica, la velocità della fotosintesi in media raddoppia. Quindi sulla stessa superficie e con lo stesso numero di alberi potremmo raddoppiare la produzione e forse anche ottenere dei frutti più grandi. E a dimostrazione che questa soluzione è ”naturale” (perché le piante terrestri sono comparse quando il tasso di CO2 era molto più alto di oggi), le piante diventerebbero anche più resistenti ai parassiti.
Inoltre quasi non ci sono limiti a quello che si potrebbe ottenere con le coltivazioni idroponiche e con l’ingegneria genetica, che pure è stata criminalizzata stravolgendo i dati scientifici per impedirci di usarla. Infine con la moltiplicazione delle cellule staminali in coltura già oggi si possono produrre pesce e molluschi “sintetici” che potrebbero alleggerire la pressione della pesca sugli ecosistemi marini.




LA PRODUZIONE DELL’ENERGIA
Anche la produzione dell’energia è strategica sia per lo sviluppo che per la sostenibilità ambientale. Però è fondamentale che costi il meno possibile perché altrimenti saremmo costretti, come purtroppo già avviene, ad importare gran parte dei beni di consumo da Paesi che sfruttano delle fonti di energia più economiche. C’è sempre qualcuno che vuole farci pagare l’energia il più possibile, ma ciò è contrario all’interesse generale. Altrettanto importante è diminuire le importazioni di energia per ridurre il più possibile l’impoverimento del sistema paese.
Invece da molti anni in Italia stiamo facendo di tutto per aumentare la nostra dipendenza energetica e il costo unitario dell’energia. E come se questo ancora non bastasse, con la politica delle energie alternative abbiamo distrutto inutilmente altre immense risorse economiche e devastato il paesaggio di intere regioni, praticamente in cambio di nulla.
Interminabili campagne mediatiche mai contrastate hanno convinto l’opinione pubblica che le fonti di energia con minore densità energetica come eolico, fotovoltaico e biocarburanti siano più sostenibili. Invece è vero l’esatto contrario perché queste fonti di energia “consumano” il territorio che è la nostra risorsa ambientale più importante e preziosa. Inoltre eolico e fotovoltaico in Italia e in Germania producono una quantità di energia che è solo il 18 / 20% della loro potenza nominale. Questa energia per di più viene prodotta in maniera casuale e intermittente o nei momenti sbagliati e pertanto non può coprire il carico di base, cioè l’85 / 90 % dei consumi. E’ quindi un’illusione pensare che essa possa sostituire le centrali elettriche. Infine per quanto riguarda la pretesa necessità di diminuire le emissioni di anidride carbonica, la scienza oggi ci sta dicendo che è probabilmente il sole la causa del riscaldamento globale, non la CO2. Un’ipotesi, quella solare, che sembra confermata dai dati storici e che nei prossimi anni potrà anche essere verificata (vedi l’articolo “La costosa follia delle energie alternative”).
Per di più, come si è visto sopra, questa condanna dell’anidride carbonica ci ha impedito di usarla per aumentare la produzione agricola. In ogni caso il suo uso come fertilizzante sarebbe anche il modo più efficace per diminuirne le emissioni, ammesso che questa sia la causa del riscaldamento globale.
La soluzione migliore di tutte è però l’energia nucleare, che ovviamente è stata criminalizzata per impedirci di usarla. Già adesso in Francia, il Paese più nuclearizzato d’Europa, l’energia elettrica costa un terzo o anche meno che in Italia o in Germania. Ma le centrali nucleari di IV generazione sviluppate proprio nel nostro Paese dalla ditta Newcleo sono ancora migliori perché i costi e i tempi di costruzione si ridurranno a circa un terzo. Inoltre questi impianti useranno come combustibile quelle che oggi sono delle scorie radioattive che verranno anche consumate completamente e tolte di mezzo. Nello stesso tempo queste centrali sfrutteranno l’uranio in maniera trenta volte più efficiente e ciò significa che a parità di energia elettrica prodotta esse conterranno molto meno materiale radioattivo e quindi saranno ancora molto più sicure di quelle che ci sono oggi (che a loro volta sono sicurissime perché nessuna è mai andata fuori controllo e se anche questo succedesse nulla potrebbe uscire perché hanno tutte una spessa cupola di cemento armato).
Inoltre, dato che il costo del combustibile nucleare è irrisorio, le centrali nucleari riducono al minimo le importazioni di energia e questo le rende doppiamente convenienti. Infine i nuovi reattori sviluppati in Italia stanno suscitando nel mondo un grande interesse e hanno un mercato potenziale immenso. Essi sono quindi anche una grande opportunità per il nostro Paese che potrebbe creare un intero nuovo settore industriale per produrli e venderli in tutto il mondo (vedi l’articolo “Energia nucleare pulita e sicura”).
Dopo l’energia nucleare vengono le auto elettriche, che ci faranno risparmiare dall’80 al 90% dell’energia delle auto di oggi (vedi l’articolo “I vantaggi della trazione elettrica”). Ci sono già delle batterie con un’autonomia sufficiente. Perché allora le nostre strade non sono ancora piene di auto elettriche? Per colpa del disinteresse dell’Europa e dell’America, che hanno lasciato alla Cina il monopolio delle batterie. E questo è avvenuto mentre stavamo spendendo delle cifre astronomiche per le energie alternative! Eppure i veicoli elettrici ci farebbero risparmiare molti più combustibili fossili, per di più di importazione, di quanto riusciranno mai a fare le energie alternative.
Però c’è ancora un’altra cosa che in Italia potremmo fare o che avremmo dovuto fare già da molto tempo: un piano nazionale per il teleriscaldamento. Con l’acqua di raffreddamento delle centrali elettriche, che si trova alla temperatura di 70 / 80 gradi, potremmo scaldare case e uffici in inverno e risparmiare molto gas naturale che oggi dobbiamo importare. E anche con il teleriscaldamento avremmo ottenuto di più in termini di minori consumi di combustibili fossili ed emissioni di anidride carbonica che con le centinaia di miliardi spesi per le energie alternative. Però quello che non abbiamo fatto ieri lo possiamo fare oggi. E sono infrastrutture che possiamo costruirci da soli senza doverle importare, perché abbiamo l’esempio e l’esperienza della città di Torino.
Se la produzione di energia è strategica per i paesi sviluppati, lo è ancora di più per i paesi emergenti che ne hanno un disperato bisogno per la loro crescita. Molti di loro, come diversi Paesi dell’Africa Centrale e Orientale, hanno sul loro territorio dei giacimenti di metano ma non delle centrali elettriche. Pertanto se ci capitasse di dismettere una centrale a gas obsoleta per sostituirla con un modello più recente, la potremmo smontare per regalarla a qualcuno di questi paesi. Una proposta molto semplice che vale più di tantissimi aiuti perché la disponibilità di energia è la più importante condizione dello sviluppo.
Però si potrebbe fare molto di più. L’Italia o l’Europa potrebbero costruire delle centrali elettriche a metano in Africa nei paesi che hanno già il gas naturale, che si ripagherebbero da sole con una piccola parte dell’energia elettrica prodotta. Infatti solo il 10% del valore di questa energia è costo di impianto, mentre il resto è costo di un combustibile che già possiedono.
Per esempio il Congo, il paese più grande dell’Africa Centrale, pur possedendo dei giacimenti di metano, è quasi del tutto privo di elettricità e la sua quasi unica fonte di energia è la legna da ardere. Per questo è anche uno dei Paesi più poveri del mondo. Aiutarlo a uscire dalla povertà è doveroso ma anche lungimirante, perché sono proprio i paesi più poveri quelli che hanno davanti a sé il più lungo periodo di robusta crescita economica. Essi quindi sono destinati a diventare dei clienti importanti di chi sarà disposto ad aiutarli in questa fase per loro così critica (vedi l’articolo “Paesi poveri: problema o opportunità?”).




ALTRE PROPOSTE PER I GOVERNI NAZIONALI
Centri di servizi. Nelle città, dove si svolge l’80% di tutto il traffico auto, la circolazione è spesso rallentata e convulsa, con la conseguenza di grandi perdite di tempo, di denaro e di un maggiore inquinamento. Ma come si fa a rendere il traffico più scorrevole? La ricetta è semplice e ampiamente praticata nel resto dell’Europa: bisogna concentrare in uno o più luoghi opportuni uffici, negozi, studi professionali e altre attività terziarie che sono quelle che richiamano pubblico e generano i principali flussi del traffico. In questo modo il sistema urbano diventerà più efficiente perché diminuirà il numero degli spostamenti e una percentuale maggiore di essi avverrà con i mezzi del trasporto pubblico.
I centri di servizi verrebbero realizzati dai privati con capitali privati, mentre la mano pubblica dovrebbe acquisire e mettere a disposizione le aree ed assicurare gli indispensabili collegamenti. Dato che molte di queste spese esulano dalla normale amministrazione, esse potrebbero essere sostenute dal Governo nell’ambito di un piano nazionale per i trasporti urbani, che sarebbe almeno altrettanto giustificato di quello per le grandi opere, ma costerebbe molto di meno.
Questo sito ha elaborato una proposta specifica per la città di Ferrara, che purtroppo finora non è stata realizzata, ma che può servire come esempio (vedi la “Proposta per i problemi del traffico di una città italiana”).
Ricostruzione post terremoto: la casa a graticci. Questa tipologia edilizia, molto diffusa in Europa ma assente in Italia, è la più anti sismica che si possa immaginare. Nei centri storici della Francia e della Germania si vedono spesso queste abitazioni con le travi di sostegno ben visibili, che a volte sono vecchie quanto le grandi cattedrali gotiche.
La struttura portante, in grado di resistere a qualsiasi terremoto, è costituita da travi della sezione di circa 15 X 20 cm ben connesse tra di loro, posata su una base di pietre o di mattoni.
Una volta realizzata l’intelaiatura, rimangono da riempire gli spazi vuoti che formeranno le pareti. La tecnica è semplice (è più difficile da dire che da fare) e i materiali sono poco costosi e facilmente reperibili.
Innanzi tutto bisogna inserire delle assicelle verticali spesse 3 cm e larghe il doppio nelle scanalature predisposte nelle travi, distanziandole di circa 15 cm. Poi bisogna intrecciare intorno ad esse, in senso orizzontale, dei rametti flessibili lasciando tra di loro un po’ di spazio. Questo è il sostegno. Adesso bisogna mescolare i tre ingredienti che riempiranno le pareti, cioè paglia, sabbia e argilla.
Si stende per terra un telo grande come un asciugamano da spiaggia. Si dispone sopra di esso uno strato di paglia di 5 o 6 cm e lo si cosparge con sabbia e argilla un po’ liquida. Si prendono i due capi del telo e li si tirano verso gli altri due. Poi si prendono gli altri due capi e si tira nella direzione opposta, e si ripete questa operazione alcune volte. Si forma un rotolo nel quale i tre ingredienti si mescolano. Con questo composto bisogna riempire tutti gli spazi tra le assicelle e i rametti, avendo cura di spingerlo bene con le dita negli interstizi. Si compatta il tutto dall’interno e dall’esterno fino ad ottenere una superficie piana e uno spessore di circa 15 cm. A questo punto bisogna lasciare riposare il tutto per due mesi e poi si può applicare l’intonaco, all’interno e all’esterno. Queste pareti sono resistenti nel tempo e sono anche isolanti e traspiranti.


Riscoprire la grande musica dimenticata. La musica classica porta questo nome anche se è stata sviluppata in epoca barocca. Essa comunque ha delle radici antiche, che si estendono in profondità fino all’epoca greco - romana. Sono la musica gregoriana, la tradizione di registrare per iscritto i motivi musicali e l’organo a canne. Partendo dalla musica monodica gregoriana, col tempo la tecnica musicale si è evoluta fino ai massimi risultati raggiunti nella seconda metà del Settecento.
Allora l’Italia era all’avanguardia in tutti i settori della musica. Le capitali musicali dell’Europa erano Venezia, Roma e Napoli. Però proprio questa tradizione straordinaria è stata stravolta da un’operazione sciagurata che aveva lo scopo di esaltare i musicisti germanici a spese di tutti gli altri.
E’ uscita qualche anno fa l’opera in due grossi volumi intitolata “Mozart - la caduta degli dei” di Luca Bianchini e Anna Trombetta, stampata da Youcanprint. Questi due studiosi, sulla scorta di una conoscenza profonda della documentazione e della saggistica in materia, hanno ricostruito la biografia del salisburghese e ne hanno analizzato la produzione musicale. M non ha mai frequentato scuole di alcun tipo, nemmeno di musica. L’unico suo insegnante in tutto è stato suo padre, che però nel campo della musica era un autodidatta. I documenti riguardanti l’esame sostenuto a Bologna presso la scuola di Padre Martini dimostrano che a 14 anni M non sapeva nulla di composizione, perché suo padre non era stato capace di insegnargliela. Ma anche dopo di allora M non ha mai avuto insegnanti di musica. Ma allora come avrebbe fatto a comporre le straordinarie sinfonie che gli sono state attribuite? Se anche fosse stato il più grande genio musicale dell’universo, ma non lo era, come avrebbe fatto ad inventarsi tutti i progressi di quest’arte dall’anno zero della civiltà fino al 1770?
Del resto quando era in vita M non è mai stato considerato un musicista importante. In realtà era un plagiario sistematico. Ha legato il suo nome a 155 composizioni. Per molte di esse ci sono le copie di lavoro, ne parla nelle sue lettere e siamo sicuri che sono sue. Ma si tratta di cose di scarso valore, portate avanti con fatica e a volte lasciate incompiute. Il resto sono dei plagi. Alcuni decenni dopo la sua morte è stato creato il mito del genio e, prima per ragioni commerciali e poi nazionalistiche, gli sono state attribuite molte altre composizioni rubate ad altri autori, quasi tutti italiani, fino a superare il migliaio. Oggi questo numero si è ridotto a 600, e questo significa che oltre 400 sono già state riconosciute dalla critica come non sue. Ma anche quelle che restano non sono state composte da lui.
Per esempio chi scrive, che non è un esperto di musica, si trova in casa un CD con le sinfonie n. 40 e 41“Jupiter”. Lo spartito della Jupiter è stato rinvenuto senza nome nel fondo Luchesi, proveniente da Bonn e conservato a Modena. Andrea Luchesi è stato uno dei musicisti più importanti della sua epoca e ha lavorato per vent’anni a Bonn dove è stato il maestro di Beethoven. Le annotazioni sulla copia manoscritta dimostrano che la Jupiter è stata composta da un musicista di questa città. Inoltre essa ha molti punti di contatto con la n. 40 e la n. 39, e questo significa che tutte e tre sono state composte dalla stessa mano.
Di chi era questa mano? Data la straordinaria qualità di queste composizioni, che M con la sua formazione approssimativa non poteva nemmeno avvicinare, esse devono essere state composte da uno dei musicisti più importanti del ‘700. E poiché il manoscritto si trova nel fondo che porta il suo nome, l’unica attribuzione ragionevole è ad Andrea Luchesi. Infine lo stile di queste sinfonie è riconoscibilmente simile a quello dell’ouverture dell’Ademira. Un’Opera scritta da Luchesi e che non poteva essergli rubata perché non si può sottrarre al suo autore una composizione così complessa per attribuirla a qualcun altro.
La sottrazione di una composizione musicale al suo autore per attribuirla a qualche musicista germanico, non solo a M ma anche ad Haydn (incolpevole) e ad altri, è stata ripetuta molte centinaia di volte, forse migliaia. L’esaltazione della musica germanica è stata anche uno dei pilastri della propaganda nazista. Il risultato di questa operazione sciagurata non è solo che un musicista di quart’ordine è stato trasformato in un grande genio musicale, ma che la storia del periodo più alto della musica di ogni tempo è stata devastata. Quasi tutti i principali musicisti dell’epoca sono stati oscurati. I più penalizzati sono stati i maestri italiani, dato che quella italiana era allora la tradizione musicale di gran lunga più importante. Ne rimane un ricordo nelle parole presenti sugli spartiti, che sono ancora in italiano.
Nel ‘700 e fino alla prima metà dell’800 i musicisti italiani ricoprivano quasi tutti i principali incarichi nelle più importanti città o corti europee. Lì hanno creato delle scuole e hanno diffuso la loro arte nel resto dell’Europa. Ma adesso sono quasi tutti dimenticati e le loro composizioni sono state attribuite a chi non le ha scritte.
Per esempio quello che era considerato il principale musicista della sua epoca, Muzio Clementi, ha scritto almeno 21 tra Sinfonie e Ouverture (molto meno di quelle attribuite a M e Haydn!), ma se ne conoscono solo otto. E persino queste, almeno in Italia, non vengono mai eseguite. Così come non viene quasi mai eseguita la musica di Viotti, Salieri, Cherubini, Porpora e tanti altri (fa eccezione Boccherini, che lavorava a Madrid e che è sfuggito a questa operazione sciagurata).
Prima che comparisse la società moderna gli Stati europei intraprendevano delle guerre per conquistare altri paesi e ridurli a colonie. E quando potevano facevano incetta di opere d’arte (e anche qui il paese più derubato è stato l’Italia, data la ricchezza del suo patrimonio). E’ stata proprio questa mentalità, nazionalista, razzista e predatoria, che ha portato alle due guerre mondiali. Ma questa è anche la mentalità che ha portato all’esaltazione dei musicisti germanici a scapito di tutti gli altri. Un’operazione predatoria che non è diversa dal furto di opere d’arte.
Nella società di oggi, però, questi comportamenti non dovrebbero più avere cittadinanza. E quindi tutti dovrebbero collaborare per riscrivere la storia della musica europea e recuperare quella dimenticata. Anche gli studiosi tedeschi, che del resto hanno già il merito di avere dato il contributo più importante alla revisione critica delle opere di M.
Molti manoscritti sono andati perduti e molti altri non potranno più essere attribuiti ai loro veri autori; ce ne sono però ancora molti altri negli archivi che possono essere recuperati. Inoltre si potrebbe iniziare istituendo una nuova categoria musicale intitolata: “Brano di autore ignoto, già attribuito a …”, partendo dalle oltre 400 composizioni che non sono più attribuibili a M.
Tra gli archivi storici da digitalizzare ci sono quindi anche quelli musicali (vedi più avanti). Ma bisogna evitare di ricadere nei nazionalismi, perché le tradizioni musicali dei diversi paesi non possono più essere separate: oggi si può parlare solo di musica europea.
Questa importante operazione culturale potrebbe sfociare nella compilazione di un pacchetto di qualche centinaio di CD da pubblicare con il titolo “La musica più bella del mondo da tempo dimenticata”. Questa iniziativa dovrebbe essere sostenuta dai Governi del nostro Paese, perché potrebbe migliorare la nostra immagine all’estero con positivi riflessi sull’economia.
Possiamo invadere il mondo con la musica più bella del mondo, quasi tutta italiana, da tanto tempo dimenticata. Perché non lo facciamo?
Digitalizzare gli archivi storici. Ci sono però ancora altre cose che potremmo fare per recuperare delle opere dell’ingegno considerate perdute. Infatti il nostro paese possiede anche il più importante patrimonio archivistico del mondo.
Però i documenti d’archivio non sono facilmente accessibili. Oggi per trovarne uno bisogna sapere che esiste e conoscere il suo indirizzo di catalogo. Ma per quanto riguarda i manoscritti, non sempre la voce di catalogo è rappresentativa del contenuto. E così molti documenti importanti potrebbero rimanere sconosciuti. E poi c’è l’esigenza di mettere al sicuro una volta per tutte questi preziosi documenti. Dato che si tratta di oggetti unici, se il supporto fisico di carta o pergamena viene distrutto, da incendi, furti, umidità, insetti ecc., viene perduto per sempre anche il suo contenuto.
La soluzione è digitalizzarli. Molti lo stanno già facendo, ma manca un piano nazionale per digitalizzare in maniera sistematica tutti i nostri archivi storici più antichi e importanti a partire da quelli pergamenacei, e per metterli su internet in un portale unico a disposizione degli studiosi di tutto il mondo (e tra gli archivi da digitalizzare ci sono anche quelli musicali).
Poi si potrebbe allargare il discorso. L’Italia potrebbe farsi capofila di un progetto internazionale per aiutare gli altri paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente a digitalizzare e mettere in salvo i loro archivi storici.
Purtroppo le guerre recenti o in corso in Iraq e in Siria hanno già fatto molti danni. Ma proprio questi eventi tragici dimostrano quanto sia urgente mettere in salvo le biblioteche e gli archivi storici di questi paesi.
In epoca ellenistica la Siria e l’Iraq facevano parte del regno dei Seleucidi, altrettanto importante di quello egiziano dei Tolomei, ma molto meno conosciuto. In compenso al posto dei papiri venivano usate come materiale scrittorio le tavolette d’argilla che si conservano molto meglio. Tanto che gli archeologi hanno trovato numerose biblioteche, che datano dalle più antiche civiltà mesopotamiche all’epoca ellenistica. Anche lì potrebbero essersi conservate molte opere importanti di carattere storico, letterario o scientifico. E con la guerra in corso molti di questi documenti rischiano di andare perduti. Il salvataggio di parti importanti del nostro patrimonio di arte e di cultura non è altro che il recupero delle nostre tradizioni, della nostra storia e della nostra stessa identità, e per questo troverà sempre nel Paese un ampio consenso.




CON POCO POSSIAMO FARE MOLTO
Ecco un programma da attuare in tempi brevi e che costerebbe pochissimo.

 
  • Piano nazionale per il teleriscaldamento che abbatterebbe il consumo dei combustibili fossili più dei 300 miliardi spesi per le energie alternative.
  • Piano nazionale per usare la CO2 come fertilizzante in molte coltivazioni ortofrutticole.
  • Abolizione del divieto di coltivare le piante geneticamente modificate allo scopo di abbattere il consumo dei pesticidi.
  • Produzione di pesci e molluschi tramite la moltiplicazione di cellule staminali in coltura, per diminuire la pressione della pesca sugli ecosistemi marini.
  • Piano nazionale per digitalizzare gli archivi storici più antichi e importanti, per metterli a disposizione degli studiosi di tutto il mondo.
  • Fornitura di centrali elettriche al Congo e ad altri Paesi africani che hanno già il gas naturale, che si ripagherebbero da sole con una piccola parte dell’energia elettrica prodotta.
  • Ricerca per sperimentare una produzione di carne alternativa a quella dei bovini nei Paesi dell’Africa Centrale e Occidentale che si procurano gran parte delle proteine cacciando gli animali della foresta.