Parmenide di Elea: l'essere è, il non essere non è
Il pensiero del più importante dei filosofi presocratici, tanto in anticipo sui suoi tempi da essere frainteso per 2500 anni, solo oggi viene interpretato in maniera corretta. Grazie ad un’indagine filologica rigorosa, la dottrina di Parmenide ci appare oggi veramente profetica, dato che è riuscita a prefigurare le principali caratteristiche della “realtà ultima” così come emerge dalle più recenti teorie cosmologiche. Ed è proprio questo fraintendimento che ha impedito finora agli scienziati di rendersi conto che l’esistenza delle stringhe era stata in qualche modo prevista già venticinque secoli fa.
Ma l’insegnamento di Parmenide è attuale anche perchè, nella nostra società iper tecnologica, molti continuano a seguire la strada del “non essere”, anzichè attenersi a quella rigorosa della realtà dei fatti.
Parmenide è vissuto tra il sesto e il quinto secolo a. C. a Velia, colonia greca fondata sulla costa del Cilento dagli abitanti di Focea, fuggiti dall’Asia Minore in seguito all’invasione persiana del 545 a. C. Ben presto la città ha preso il nome di Elea, ma presso gli italici ha continuato ad essere conosciuta col nome originario di Velia.
Discendente da una delle principali famiglie aristocratiche, Parmenide ha scritto gli statuti della sua città, ha effettuato ricerche specialmente in campo astronomico, e ha dato origine ad una propria scuola filosofica. Ha esposto la sua dottrina e le sue scoperte in un poema, un vero e proprio trattato scientifico che doveva comprendere migliaia di versi, ma di cui ne rimangono solo 160.
Il fondatore della scuola eleatica si inserisce in pieno nella tradizione dei primi filosofi greci, che erano prima di tutto degli scienziati, in un’epoca in cui la scienza non era ancora suddivisa in specializzazioni. Scienziati oppure sapienti o, meglio ancora, che è la traduzione letterale della parola greca filosofo, amanti e ricercatori della verità.
Sono proprio questi primi filosofi (detti presocratici), che hanno posto le basi della civiltà occidentale fondata sul razionalismo scientifico. Questi sapienti hanno cominciato ad indagare la natura delle cose con osservazioni attente. Hanno, per primi, effettuato osservazioni e misurazioni sistematiche, con un atteggiamento rigoroso che si contrapponeva all’osservazione superficiale della realtà e all’accettazione acritica dei miti e delle leggende. E’ stato proprio grazie a loro che sono nate, circa 2500 anni fa, la matematica, la geometria, l’astronomia, la fisica, la biologia, la medicina, e che sono state ottenute le prime importanti conquiste scientifiche.
Il primo “sapiente” di cui si ha notizia è Talete di Mileto, versato negli studi astronomici fino al punto da riuscire a prevedere l’eclissi di sole del 585 a.C. Talete ha scoperto alcuni teoremi di geometria a cui ha dato il suo nome, ha compilato un calendario astronomico, ha intuito che la luce della luna non è endogena, ma riflessa dal sole.
Il suo discepolo Anassimandro ha approfondito le ricerche nel campo dell’astronomia e ha messo a punto il primo modello dell’universo, che vedeva la terra al centro (immaginata a forma di cilindro) sostenuta nel vuoto da un equilibrio di forze, con tutti i corpi celesti che le ruotavano intorno: la prima versione del sistema tolemaico. Ha costruito la prima meridiana solare; ha sostenuto, quasi anticipando l’evoluzionismo di Darwin, che la vita ha avuto origine nel mare. Anassimene, altro discepolo di Talete, ha capito che l’arcobaleno non era il fenomeno magico di cui parlava la tradizione, ma solo luce rifratta dall’umidità dell’aria, e che il sole è una massa magmatica incandescente.
Un altro importante esponente dei filosofi presocratici è Pitagora. Pitagora è stato uno degli scienziati più famosi dell’antichità, anch’egli fondatore di una propria scuola. Ha fatto progredire gli studi di geometria inventando il teorema che porta il suo nome. Ha attribuito una tale importanza alla matematica, da istituire una specie di culto dei numeri. Ha fatto ricerche nel campo dell’astronomia, ha messo in relazione le lunghezze delle corde in vibrazione con l’altezza delle note, e ha costruito la prima scala musicale, rimasta in uso durante tutta l’era antica.
Anche Parmenide era prima di tutto uno scienziato. Con le sue osservazioni ha dimostrato in maniera conclusiva l’intuizione di Talete, cioè che la luna non brilla di luce propria, ma riflette quella del sole. Ha dimostrato che Vespero, la stella della sera, e Fosforo, la stella del mattino (la parola significa letteralmente “portatore di luce”), sono lo stesso corpo celeste, che ha intitolato ad Afrodite, Venere per i Romani, dea della bellezza e dell’amore. Ha descritto la terra come sferica, completando così la visione cosmologica di Anassimandro, che è rimasta pressochè invariata per i successivi 2000 anni.
Gli scienziati-filosofi che l’avevano preceduto non si erano però limitati a fare delle indagini sulla natura; avevano anche cercato di interpretare la realtà multiforme che ci circonda nell’ambito di una visione cosmologica. Ciascuno di loro aveva creduto di individuare “l’elemento primigenio al quale ricondurre tutte le cose della natura: la terra, il mare, il cielo, i laghi, i fiumi, i loro fenomeni di trasformazione, le stelle, le stagioni, il giorno e la notte, gli animali, le piante, le persone umane del presente e del passato.”
“Partendo dal presupposto che nulla può nascere dal nulla, e che la materia non può sparire nel nulla”, tutta la realtà venne interpretata come il risultato di processi di condensazione, rarefazione e mescolanza reciproca di elementi eterni e indistruttibili, che furono individuati di volta in volta nell’acqua, nell’aria, nella terra e nel fuoco.
Anche Parmenide era partito dal principio che nulla si crea e nulla si distrugge, ma lo ha portato alle sue estreme conseguenze logiche. Alla base della sua dottrina c’è l’affermazione, di evidenza assiomatica, che l’essere è e il non essere non è.
Ciò che è non può iniziare o cessare di essere, perchè questo implicherebbe che in qualche momento il non essere è. “Dunque fuori dall’essere non si può dare nulla, e dal nulla non può nascere nulla”: quindi a maggior ragione solo l’essere è, e il non essere non si potrà mai dimostrare che esista. “Ma agli occhi di Parmenide anche la trasformazione implica comunque un qualche salto logico: l’intervento dal nulla di qualcosa di nuovo che rompe il precedente equilibrio statico.”
Quella dell’essere è quindi la strada per individuare la vera natura delle cose: perchè l’essere è. L’apparenza invece è il non essere, qualcosa che sembra, ma che non è quello che sembra. La netta distinzione tra essere e non essere è quindi anche la distinzione tra l’apparenza, l’impressione superficiale, e la vera conoscenza. La verità non è un’opinione soggettiva, ed è sbagliato limitarsi ad elencare oggetti, fatti, storie, senza l’indagine scientifica necessaria per svelarne la vera natura. “E anche la continua trasformazione delle cose che cadono sotto i nostri sensi non può che essere illusoria, quasi un sogno ad occhi aperti, perchè la realtà di fondo rimane sempre identica a se stessa: l’Essere.”
Ma Parmenide, con il suo l’essere è, il non essere non è, ha anche individuato un metodo, cioè una strada attraverso la quale la conoscenza progredisce. Ed è persino riuscito ad intravedere il risultato finale di questo percorso di ricerca.
La scienza procede attraverso affermazioni del tipo A “è” B, relazione di identità dello stesso tipo di quella con cui si esprimono la matematica e la geometria. Del resto anche l’espressione verbale è la stessa. Gli antichi greci, per esempio, per dire che due più due è uguale a quattro, avrebbero detto: due più due “è” quattro. Oppure: due più due “è lo stesso” di quattro.
“Vespero e Fosforo hanno due nomi come se fossero due cose distinte. Ma l’indagine scientifica ha dimostrato che Vespero e Fosforo sono lo stesso corpo celeste: Vespero “è” Fosforo. Le eclissi non sono eventi miracolosi, segni funesti inviati dagli dei agli uomini, ma semplici allineamenti occasionali fra gli astri ruotanti nel cielo. I diversi corpi celesti, individuati ciascuno da un proprio nome, non sono altro che blocchi di fuoco, tutti uguali, incorporati nelle sfere celesti. Giorno e Notte non esistono come entità separate e contrapposte, ma sono una sola e stessa cosa, nient’altro che l’eterno volgere del sole intorno alla terra, con la conseguenza meccanica dell’alternanza luce-tenebra sulla sua superficie. Due triangoli, magari distanti fra loro mille miglia, se hanno eguali un lato e i due angoli adiacenti, sono uguali, l’uno “è” l’altro.
Insomma, continuamente una diversità viene dimostrata illusoria, e sostituita con una equazione-identificazione.”
“L’atto del capire si risolve sempre nel riconoscimento di un’identità, che si esprime a livello verbale con una proposizione imperniata sul segnale di uguale “è”. Le cose che sembrano diverse in base all’esperienza comune, si rivelano una sola e stessa cosa alla visione intellettuale che è propria dell’esperienza scientifica.”
E la conoscenza scientifica non è costituita da informazioni frammentarie ed episodiche, ma da un corpo di conoscenze integrato in un sistema unico, che cresce man mano che vengono individuate nuove relazioni di identità.
“Certo è che anche lo scienziato è ben lontano dall’aver superato tutte le diversità in identità superiori, ma sa che ciò è dovuto alla parzialità delle sue conoscenze, e che lo sviluppo futuro della ricerca porterà a sempre maggiori identificazioni. Alla fine, dopo un lungo percorso, si arriverà ad identificare e a rapportare tutto ad una entità primigenia e irriducibile. Dato che non è possibile immaginare che alla fine del processo unificatorio restino più enti, o anche due soltanto, perchè si porrebbero, l’uno nei confronti dell’altro, in termini di nascita dal nulla, non si può allora far a meno di pensare ad un’unità assoluta: l’Essere è uno.”
Se l’Essere è uno, non ammette al suo interno distinzioni. Inoltre esso è eterno, nel senso di eternamente presente, quindi increato, compiuto in se stesso, indistruttibile, indivisibile, immutabile, illimitato ma non infinito.
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La dottrina di Parmenide, nonostante sia ormai così lontana nel tempo, è più che mai attuale, anzi, più che attuale la si potrebbe definire abissalmente profetica, dato che l’Essere parmenideo ha le stesse caratteristiche della materia fondamentale prevista dalla teoria delle stringhe.
La teoria delle stringhe si propone come teoria unificatrice della fisica classica, della fisica dell’immensamente piccolo (la meccanica quantistica) e della fisica dell’immensamente grande (la relatività).
Le teorie della relatività di Einstein, con l’invarianza della velocità della luce, la dimensione dello spazio-tempo, l’equivalenza tra massa ed energia e il concetto di curvatura dello spazio, avevano individuato le leggi che governano i corpi celesti, mentre la meccanica quantistica aveva scoperto le strane leggi del mondo ultra microscopico, oltre ad alcune decine di particelle. Ma mancava una teoria unificatrice della fisica delle grandi e delle piccole dimensioni, e anche una teoria che riuscisse a spiegare l’assurdo di tante particelle elementari.
La teoria delle stringhe, enunciata per la prima volta nel 1974, si propone come unica teoria della fisica, (termine che riacquista così il suo pieno significato di scienza della natura).
Le stringhe, piccolissimi filamenti che vibrano alla velocità della luce all’interno di minuscoli spazi a più dimensioni, sembrano essere la sostanza fondamentale con cui è fatto l’universo. La forma di questi spazi, allo stesso modo delle canne di un organo, determina i modi di vibrazione. A seconda del loro modo di vibrazione, le stringhe vengono percepite a livello sperimentale come le diverse particelle elementari, finora considerate entità distinte. La teoria delle stringhe sembra quindi l’ultima delle relazioni di identità che portano all’individuazione dell’Essere parmenideo: le diverse particelle elementari della meccanica quantistica “sono” un unico tipo di particella, la stringa!
La teoria delle stringhe consente anche di rimuovere l’assurdo, già percepito dai filosofi greci, di un universo che nasce dal nulla, ed anche l’assurdo di un universo, al momento del Big Bang, infinitamente caldo e infinitamente denso. Il Big Bang non sarebbe altro che un punto di svolta tra una delle infinite fasi di contrazione e di espansione dell’universo.
Certo, non si potrà mai escludere che sia intervenuto un atto creativo, ma l’atto creativo divino esula dal campo della fisica. E se si rimane nell’ambito della fisica, anche l’universo delle stringhe, come l’Essere di Parmenide, è eterno. L’unica differenza è che esiste un solo tipo di realtà elementare costituita da moltissime stringhe in vibrazione: quindi l’essere non è “una” cosa come per Parmenide, ma un “unico tipo” di realtà.
Ma non c’è dubbio che Parmenide, se fosse vivo oggi, considererebbe la stringa la realtà ultima, che del resto ha proprio tutte le caratteristiche dell’Essere: è unica (di un unico tipo), eterna, increata, indivisibile, indistruttibile, irriducibile…
E, proprio come sostiene Parmenide, anche le trasformazioni sono riconducibili a una realtà unica: infatti esse sono prodotte dalle quattro forze fondamentali (forza nucleare forte, forza nucleare debole, forza elettromagnetica e forza di gravità) che a loro volta sono riconducibili a particelle elementari dette “mediatrici”. Anche le particelle mediatrici sono interpretabili come stringhe in vibrazione, e quindi alla fine tutto, sia la materia che le forze che la modificano, possono essere fatte risalire ad un’unica sostanza ed alle leggi fisiche che la governano.
Infine, altra caratteristica profeticamente intuita da Parmenide, la stringa ha dimensioni di solito piccolissime, ma che possono dilatarsi fino a circondare l’intero universo, che però, come prevede la teoria della relatività, è a sua volta finito ma illimitato, cioè sferico. Esattamente come l’Essere di Parmenide!
Ma l’insegnamento di Parmenide è attuale anche perchè, nella nostra società iper tecnologica, continuamente si discute non su come interpretare la realtà, ma se la realtà stessa è vera oppure no. E spesso si arriva a negare la realtà dei fatti, cosa che equivale a dire che l’essere non è.
E’ così per esempio quando si afferma che la canapa è una droga che provoca dipendenza fisica e danni alla salute, nonostante che ciò non sia mai stato dimostrato. Oppure quando si dice che le piante geneticamente modificate comportano intollerabili rischi per la salute e per l’ambiente, mentre gli scienziati all’unanimità assicurano che i rischi sono minori rispetto alle normali piante coltivate. Oppure ancora quando si sostiene che il DDT è uno dei più pericolosi veleni creati dall’uomo, mentre invece è assodato che questo insetticida è uno dei più innoqui.
Stabilire che la realtà dei fatti è semplicemente vera, e che non possiamo pretendere di cambiarla secondo i nostri pregiudizi o desideri, è la grande, paradossale, rivoluzione operata da Parmenide più di venticinque secoli fa. Ma ancora oggi affermare che l’essere è e il non essere non è, è a volte un atto quasi rivoluzionario e al limite eversivo.
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La prima parte dell’articolo costituisce un riassunto di questo libro, che propone una interpretazione finalmente convincente del pensiero di Parmenide, frutto di un’approfondita analisi filologica di quello che resta del suo poema. L’articolo ne riporta alcune frasi in maniera letterale, racchiuse tra virgolette, per l’impossibilità di esporre gli stessi argomenti con uguale precisione e chiarezza.
Precisione e chiarezza che sono la qualità principale di questo testo, la cui lettura è indispensabile per chiunque voglia comprendere qualcosa del più importante dei filosofi presocratici.
PARMENIDE DI ELEA
POEMA SULLA NATURA
Introduzione, testo, traduzione e note di Giovanni Cerri
Biblioteca Universale Rizzoli (BUR) – 1999 – Milano
Tutto quanto di meraviglioso avviene nell’universo è il risultato delle vibrazioni di singole unità, ultramicroscopiche stringhe nascoste nella profondità della materia. I “modi di vibrazione”, le “note” intonate da queste stringhe, determinano la costituzione intima della materia, come corde di violino che eseguono una sinfonia cosmica ordinata e armoniosa. In questo libro Brian Greene ci narra la storia di una straordinaria avventura, parlandone da protagonista e trasmettendoci tutto l’entusiasmo della scoperta scientifica. La rivoluzionaria visione dell’universo che emerge dal suo racconto prevede dimensioni nascoste e arrotolate nelle pieghe dello spazio, buchi neri che si trasformano in particelle elementari, discontinuità nella tessitura dello spaziotempo e universi che generano altri universi. L’Universo Elegante descrive con intelligenza e vivacità le scoperte esaltanti e i misteri ancora insoluti dell’universo e rende immediatamente accessibili alcuni dei più complessi e sofisticati concetti della fisica contemporanea.
L’UNIVERSO ELEGANTE
(superstringhe, dimensioni nascoste
e ricerca della teoria ultima)
di Brian Greene
Edizioni Einaudi – Torino 1999.