Lo sviluppo fa bene all'ambiente
L’amore per la natura è un sentimento ampiamente condiviso, e qualsiasi legge che dichiari di voler proteggere l’ambiente, può contare su un pregiudiziale atteggiamento favorevole da parte dell’opinione pubblica. Ma proprio come molti dei prodotti che si auto definiscono naturali, molte decisioni politiche usano l’ambiente per perseguire scopi di altro tipo. Ciò è reso possibile da una voluta disinformazione, che si aggiunge alla preferenza da parte degli organi di stampa per le notizie allarmistiche. Il risultato è che la strumentalizzazione dei temi ambientali è ormai una delle linee portanti della politica europea, che ha da tempo trasformato l’amore per la natura in un pretesto per mettere sotto accusa il modello stesso di società in cui viviamo.
Già il marxismo se la prendeva con lo stato “capitalista”, colpevole di essere all’origine di tutte le ingiustizie sociali, per il motivo che la crescita economica non beneficia tutti allo stesso modo. Con la caduta del comunismo questo pregiudizio non è venuto meno; anzi, è stato rafforzato da un altro potente argomento: i paesi ricchi sono la causa di tutti i danni all’ambiente, e sono anche responsabili dello sfruttamento di quelli più poveri perchè, con solo il 20% della popolazione mondiale, consumano l’80% delle risorse del pianeta. Da qui una condanna ancora più radicale della società e dell’economia moderna. Nelle parole di Serge Latouche, ambientalista e no-global, “lo sviluppo economico costituisce la fonte del male”.
Qualcuno potrebbe pensare che queste posizioni siano confinate all’interno di un ambientalismo estremo. Invece esse si sono facilmente diffuse, perchè i sentimenti verso l’ambiente sono trasversali. E sono purtroppo servite a ispirare una politica europea che, al tempo della contrapposizione tra l’Occidente e il blocco comunista, sarebbe stata considerata degna dell’Unione Sovietica. Una politica che si è ormai consolidata, anche perchè non è mai stata veramente contrastata nemmeno dai partiti che si ispirano ai principi liberali. Purtroppo ormai la disinformazione è tale, che chi si oppone a queste politiche viene immediatamente considerato nemico dell’ambiente.
E allora bisogna ribadire innanzi tutto la validità sul piano storico del modello di stato imperniato sul binomio democrazia ed economia di mercato, che ha prodotto un livello di benessere che non ha paragoni in nessun’altra epoca storica; una crescita economica che proprio negli ultimi 20 / 30 anni ha migliorato la vita di miliardi di persone, e che potrebbe liberare dalla povertà l’intera popolazione mondiale. Ed è anche una crescita che non è solo economica, perchè è sempre accompagnata dalla crescita di tutta la società civile. La società moderna, infatti, non è solo quella più ricca, è anche di gran lunga la più libera, la più egualitaria, la più pacifica, la più aperta e tollerante, la più istruita, informata ecc. E il confronto deve essere fatto con tutte le civiltà preindustriali presenti e passate, a partire da quella europea. Oltre che poverissima, la vecchia società europea era infatti caratterizzata da differenze sociali quasi infinite; era anche molto più violenta sia al suo interno che verso l’esterno, molto più chiusa e razzista, fondamentalista come l’Afganistan dei Talebani ecc. Una società in cui le donne erano in condizione di minorità, abbruttite dalla fatica e dalle gravidanze, e costrette a chiedere l’elemosina o a prostituirsi, a seconda dell’età, nel caso piuttosto frequente che fossero rimaste vedove, proprio come in Afganistan (altro che società idilliaca in pace con se stessa e con la natura, come molti vorrebbero far credere!).
Quindi la crescita economica costituisce “la fonte del bene”, non del male, ed è anche il principale fattore di giustizia e progresso sociale. Su questo non ci possono essere dubbi. Ma che dire dell’affermazione secondo la quale la società moderna avrebbe conseguito sì “un certo benessere”, ma al prezzo di una distruzione sempre più profonda dell’ambiente naturale?
Questa convinzione è molto diffusa, un consolidato luogo comune condiviso sia a destra che a sinistra, ma che non corrisponde alla realtà. Perchè la nostra società dei consumi, per ragioni fondamentali, è già adesso molto più sostenibile di quelle dei paesi più poveri. Può sembrare un paradosso: se noi consumiamo di più, dovremmo avere anche un impatto maggiore sull’ambiente – così almeno pretende la vulgata dell’impronta ecologica -. In realtà il concetto di “impronta ecologica“, che misura l’impatto ambientale sulla base della produttività media mondiale, non sta in piedi. Infatti nell’agricoltura le differenze di produttività tra paese e paese possono essere molto grandi: per esempio, quando è possibile fare dei confronti, la produttività dell’agricoltura europea risulta 20 volte più alta di quella africana. Questo significa che per produrre le stesse derrate agricole che noi otteniamo da un ettaro, in Africa servono 20 ettari. E l’agricoltura è importante, perchè sfrutta il territorio che è la principale risorsa ambientale.
Un altro elemento da considerare è la demografia: tutti i paesi sviluppati hanno raggiunto un sostanziale equilibrio demografico, i paesi emergenti lo stanno raggiungendo, mentre i paesi più poveri hanno ancora tassi di crescita che raddoppiano la popolazione ogni 20 anni. E la combinazione di bassissima produttività agricola e crescita demografica fuori controllo è devastante per l’ambiente. Così vediamo che, mentre in Africa le foreste continuano ad essere abbattute per far posto a pascoli e coltivazioni e la grande e importante fauna africana è sempre più assediata all’interno delle riserve naturalistiche, in Europa nel dopoguerra la superficie forestale è aumentata del 50% e nel bosco sono tornati gli animali: il Cinghiale, il Lupo, il Cervo, il Daino, l’Orso. In aggiunta è fortemente diminuito il livello delle principali sostanze inquinanti. Inoltre bisogna tenere conto che le economie sviluppate sono in grande prevalenza terziarizzate, e che le attività di servizi di solito richiedono molto meno energia, materie prime e territorio delle attività produttive. Infine la società moderna ha i mezzi e le capacità per rendere ancora più efficiente, e sempre più efficiente, l’uso di tutte le risorse primarie, e quindi potrebbe diminuire ancora molto l’impatto ambientale, anche in presenza di crescita economica.
In sostanza una società sviluppata è l’unica sostenibile sul piano sociale, ed è anche quella più sostenibile sul piano ambientale nonostante l’alto livello dei suoi consumi: perchè ha raggiunto la stabilità demografica, perchè usa in modo più efficiente le risorse primarie o può imparare a farlo, e infine perchè i mercati dei principali beni materiali sono ormai saturi e non possono più crescere.
Quindi non è vero che lo sviluppo è insostenibile, e che dovremo ridurre i nostri consumi e fermare la crescita dei paesi poveri. Ma è proprio questo, invece, l’obiettivo dichiarato di tanti ambientalisti, della Comunità Europea e di molte agenzie dell’ONU. Certo, l’Europa non può dire troppo forte che il suo obiettivo è la decrescita, perchè l’opinione pubblica non sarebbe d’accordo: le famiglie vogliono migliorare la propria situazione, non peggiorarla. Ma questi obiettivi sono propugnati in molti documenti ufficiali, e quello che conta essi vengono perseguiti giorno dopo giorno con mille decisioni che vanno in questa direzione, con normative che i singoli stati sono obbligati a recepire, con atti che mettono tutti di fronte al fatto compiuto.
Intanto i principi ispiratori della politica europea fanno continuo riferimento a un concetto ambiguo di sviluppo sostenibile che si richiama a quello di impronta ecologica. Questi principi sono presenti nel Trattato di Amsterdam (che integra e modifica il Trattato di Maastricht) e nel Trattato costituzionale non entrato in vigore. C’è anche l’istituzionalizzazione delle principali associazioni ambientaliste (Green 10) che chiedono l’imposizione di una serie di tasse verdi e di regolamenti per l’industria, con lo scopo di ridurre i consumi fino a farli rientrare nell’impronta ecologica considerata ideale. Del resto l’Europa ha già adottato molte decisioni di grande impatto che vanno in questa precisa direzione. Innanzitutto l’attuazione – seppure attenuata per via della crisi – del protocollo di Kyoto con le relative ecotasse, un modo burocratico e costoso, quanto inefficace, di perseguire l’obiettivo sbagliato che ci si propone (la “lotta contro il cambiamento climatico” è sicuramente la più grande idiozia del secolo, paragonabile solo alle teorie eugenetiche di infausta memoria). Poi il recepimento nel diritto europeo del demenziale principio di precauzione (dato che non c’è mai un rischio nullo, la sua applicazione sistematica paralizzerebbe ogni decisione, vedi Napoli); poi la proibizione della coltivazione delle piante geneticamente modificate (ma non del loro consumo!), e il sostegno alle costose e poco pratiche “energie alternative”. Infine una politica terzomondista che, sempre in spregio alla moderna società sviluppata, ha aperto le porte ad un’immigrazione selvaggia, e in base ad una malintesa pari dignità culturale, ha messo sullo stesso piano l’assenza di regole e di leggi, il fondamentalismo e l’intolleranza. Nello stesso tempo l’Europa ha adottato una politica degli aiuti redistributiva, con il doppio scopo di penalizzare le economie sviluppate e di impedire una crescita autonoma di quelle più povere. Anzi, senza che l’opinione pubblica ne sia consapevole perchè di queste cose i giornali non parlano, sta attuando una attiva politica volta ad ostacolare lo sviluppo dei paesi più poveri e in particolare di quelli africani. Ad essi viene imposto, pena il blocco degli aiuti, di usare solo l’energia eolica e fotovoltaica, e viene proibito l’uso del DDT in funzione antimalaria e la coltivazione di piante geneticamente modificate. La malaria colpisce ogni anno in Africa 500 milioni di persone, ne uccide da 1 a 3 milioni, ed è il principale impedimento alla crescita, mentre il DDT, insetticida quasi innocuo per gli animali superiori, è indispensabile per combatterla. A loro volta le tecniche di ricombinazione genetica sono indispensabili per far partire la rivoluzione verde, necessaria per avviare un autonomo processo di crescita che si autoalimenta e poi non si ferma più, come è già avvenuto in Cina, in India e in tanti altri paesi.
Questi ricatti verso i paesi più deboli da parte delle massime istituzioni europee, sono vergognosi e immorali, e non hanno alcuna giustificazione nè scientifica, nè sociale nè ambientale. Essi costringono centinaia di milioni di persone a subire la più grande di tutte le ingiustizie (la povertà), quando invece basterebbe poco per promuovere lo sviluppo, come gli stessi paesi africani vorrebbero. Oltre tutto lo sviluppo è anche la condizione per alleggerire la pressione sul territorio e sugli ambienti naturali, e per far scendere il tasso di natalità senza bisogno di pratiche coercitive. E’ anche l’unica vera soluzione per arginare l’immigrazione clandestina.
Da tutto questo si capisce quanto sia importante inquadrare correttamente i problemi dell’ambiente, e adottare politiche che siano contemporaneamente a favore dello sviluppo e della sostenibilità. Un esempio di come sia possibile conciliare queste due esigenze che molti pensano incompatibili, è il piano casa che sta per essere varato dal Governo, che stimolerà la crescita economica attraverso interventi di ristrutturazione edilizia in gran parte finalizzati ad abbattere i consumi di energia. Molto altro in questo settore si sta facendo, ma altro ancora si potrebbe fare, come per esempio lanciare un piano per l’isolamento termico degli edifici che si possa applicare ai condomini, che si finanzierebbe da solo con i risparmi energetici. Questo è il tipo di progetti che gli ambientalisti dovrebbero sostenere, invece di imporre enormi costi e investimenti che non portano a nulla: protocollo di Kyoto, energia eolica, auto a idrogeno, biocarburanti ecc. Con investimenti molto più modesti si potrebbe assicurare ai paesi emergenti un lungo periodo di sostenibile crescita. Quando poi le loro economie saranno diventate mature e terziarizzate, i consumi globali di risorse primarie subiranno una netta riduzione, come è già avvenuto in “tutti” i paesi sviluppati.
Questa è anche la politica che il nostro Governo dovrebbe fare propria, anzichè subire passivamente le imposizioni dell’Europa, che col pretesto dell’ambiente sta facendo la guerra alla nostra stessa società. Ma la condizione prima è una corretta informazione, per non correre il rischio di essere additati come nemici dell’ambiente. Per questo è importante che ci siano libri come “Le bugie degli ambientalisti”, che hanno avuto il coraggio di sfidare tanti luoghi comuni, e anche un sito internet che ha sviluppato questi temi con un lavoro ormai decennale: un lavoro di approfondimento già fatto che dovrebbe essere sfruttato e valorizzato.
Perchè la scelta tra sviluppo e non sviluppo è destinata a diventare la questione politica più importante di questi anni.
Già il marxismo se la prendeva con lo stato “capitalista”, colpevole di essere all’origine di tutte le ingiustizie sociali, per il motivo che la crescita economica non beneficia tutti allo stesso modo. Con la caduta del comunismo questo pregiudizio non è venuto meno; anzi, è stato rafforzato da un altro potente argomento: i paesi ricchi sono la causa di tutti i danni all’ambiente, e sono anche responsabili dello sfruttamento di quelli più poveri perchè, con solo il 20% della popolazione mondiale, consumano l’80% delle risorse del pianeta. Da qui una condanna ancora più radicale della società e dell’economia moderna. Nelle parole di Serge Latouche, ambientalista e no-global, “lo sviluppo economico costituisce la fonte del male”.
Qualcuno potrebbe pensare che queste posizioni siano confinate all’interno di un ambientalismo estremo. Invece esse si sono facilmente diffuse, perchè i sentimenti verso l’ambiente sono trasversali. E sono purtroppo servite a ispirare una politica europea che, al tempo della contrapposizione tra l’Occidente e il blocco comunista, sarebbe stata considerata degna dell’Unione Sovietica. Una politica che si è ormai consolidata, anche perchè non è mai stata veramente contrastata nemmeno dai partiti che si ispirano ai principi liberali. Purtroppo ormai la disinformazione è tale, che chi si oppone a queste politiche viene immediatamente considerato nemico dell’ambiente.
E allora bisogna ribadire innanzi tutto la validità sul piano storico del modello di stato imperniato sul binomio democrazia ed economia di mercato, che ha prodotto un livello di benessere che non ha paragoni in nessun’altra epoca storica; una crescita economica che proprio negli ultimi 20 / 30 anni ha migliorato la vita di miliardi di persone, e che potrebbe liberare dalla povertà l’intera popolazione mondiale. Ed è anche una crescita che non è solo economica, perchè è sempre accompagnata dalla crescita di tutta la società civile. La società moderna, infatti, non è solo quella più ricca, è anche di gran lunga la più libera, la più egualitaria, la più pacifica, la più aperta e tollerante, la più istruita, informata ecc. E il confronto deve essere fatto con tutte le civiltà preindustriali presenti e passate, a partire da quella europea. Oltre che poverissima, la vecchia società europea era infatti caratterizzata da differenze sociali quasi infinite; era anche molto più violenta sia al suo interno che verso l’esterno, molto più chiusa e razzista, fondamentalista come l’Afganistan dei Talebani ecc. Una società in cui le donne erano in condizione di minorità, abbruttite dalla fatica e dalle gravidanze, e costrette a chiedere l’elemosina o a prostituirsi, a seconda dell’età, nel caso piuttosto frequente che fossero rimaste vedove, proprio come in Afganistan (altro che società idilliaca in pace con se stessa e con la natura, come molti vorrebbero far credere!).
Quindi la crescita economica costituisce “la fonte del bene”, non del male, ed è anche il principale fattore di giustizia e progresso sociale. Su questo non ci possono essere dubbi. Ma che dire dell’affermazione secondo la quale la società moderna avrebbe conseguito sì “un certo benessere”, ma al prezzo di una distruzione sempre più profonda dell’ambiente naturale?
Questa convinzione è molto diffusa, un consolidato luogo comune condiviso sia a destra che a sinistra, ma che non corrisponde alla realtà. Perchè la nostra società dei consumi, per ragioni fondamentali, è già adesso molto più sostenibile di quelle dei paesi più poveri. Può sembrare un paradosso: se noi consumiamo di più, dovremmo avere anche un impatto maggiore sull’ambiente – così almeno pretende la vulgata dell’impronta ecologica -. In realtà il concetto di “impronta ecologica“, che misura l’impatto ambientale sulla base della produttività media mondiale, non sta in piedi. Infatti nell’agricoltura le differenze di produttività tra paese e paese possono essere molto grandi: per esempio, quando è possibile fare dei confronti, la produttività dell’agricoltura europea risulta 20 volte più alta di quella africana. Questo significa che per produrre le stesse derrate agricole che noi otteniamo da un ettaro, in Africa servono 20 ettari. E l’agricoltura è importante, perchè sfrutta il territorio che è la principale risorsa ambientale.
Un altro elemento da considerare è la demografia: tutti i paesi sviluppati hanno raggiunto un sostanziale equilibrio demografico, i paesi emergenti lo stanno raggiungendo, mentre i paesi più poveri hanno ancora tassi di crescita che raddoppiano la popolazione ogni 20 anni. E la combinazione di bassissima produttività agricola e crescita demografica fuori controllo è devastante per l’ambiente. Così vediamo che, mentre in Africa le foreste continuano ad essere abbattute per far posto a pascoli e coltivazioni e la grande e importante fauna africana è sempre più assediata all’interno delle riserve naturalistiche, in Europa nel dopoguerra la superficie forestale è aumentata del 50% e nel bosco sono tornati gli animali: il Cinghiale, il Lupo, il Cervo, il Daino, l’Orso. In aggiunta è fortemente diminuito il livello delle principali sostanze inquinanti. Inoltre bisogna tenere conto che le economie sviluppate sono in grande prevalenza terziarizzate, e che le attività di servizi di solito richiedono molto meno energia, materie prime e territorio delle attività produttive. Infine la società moderna ha i mezzi e le capacità per rendere ancora più efficiente, e sempre più efficiente, l’uso di tutte le risorse primarie, e quindi potrebbe diminuire ancora molto l’impatto ambientale, anche in presenza di crescita economica.
In sostanza una società sviluppata è l’unica sostenibile sul piano sociale, ed è anche quella più sostenibile sul piano ambientale nonostante l’alto livello dei suoi consumi: perchè ha raggiunto la stabilità demografica, perchè usa in modo più efficiente le risorse primarie o può imparare a farlo, e infine perchè i mercati dei principali beni materiali sono ormai saturi e non possono più crescere.
Quindi non è vero che lo sviluppo è insostenibile, e che dovremo ridurre i nostri consumi e fermare la crescita dei paesi poveri. Ma è proprio questo, invece, l’obiettivo dichiarato di tanti ambientalisti, della Comunità Europea e di molte agenzie dell’ONU. Certo, l’Europa non può dire troppo forte che il suo obiettivo è la decrescita, perchè l’opinione pubblica non sarebbe d’accordo: le famiglie vogliono migliorare la propria situazione, non peggiorarla. Ma questi obiettivi sono propugnati in molti documenti ufficiali, e quello che conta essi vengono perseguiti giorno dopo giorno con mille decisioni che vanno in questa direzione, con normative che i singoli stati sono obbligati a recepire, con atti che mettono tutti di fronte al fatto compiuto.
Intanto i principi ispiratori della politica europea fanno continuo riferimento a un concetto ambiguo di sviluppo sostenibile che si richiama a quello di impronta ecologica. Questi principi sono presenti nel Trattato di Amsterdam (che integra e modifica il Trattato di Maastricht) e nel Trattato costituzionale non entrato in vigore. C’è anche l’istituzionalizzazione delle principali associazioni ambientaliste (Green 10) che chiedono l’imposizione di una serie di tasse verdi e di regolamenti per l’industria, con lo scopo di ridurre i consumi fino a farli rientrare nell’impronta ecologica considerata ideale. Del resto l’Europa ha già adottato molte decisioni di grande impatto che vanno in questa precisa direzione. Innanzitutto l’attuazione – seppure attenuata per via della crisi – del protocollo di Kyoto con le relative ecotasse, un modo burocratico e costoso, quanto inefficace, di perseguire l’obiettivo sbagliato che ci si propone (la “lotta contro il cambiamento climatico” è sicuramente la più grande idiozia del secolo, paragonabile solo alle teorie eugenetiche di infausta memoria). Poi il recepimento nel diritto europeo del demenziale principio di precauzione (dato che non c’è mai un rischio nullo, la sua applicazione sistematica paralizzerebbe ogni decisione, vedi Napoli); poi la proibizione della coltivazione delle piante geneticamente modificate (ma non del loro consumo!), e il sostegno alle costose e poco pratiche “energie alternative”. Infine una politica terzomondista che, sempre in spregio alla moderna società sviluppata, ha aperto le porte ad un’immigrazione selvaggia, e in base ad una malintesa pari dignità culturale, ha messo sullo stesso piano l’assenza di regole e di leggi, il fondamentalismo e l’intolleranza. Nello stesso tempo l’Europa ha adottato una politica degli aiuti redistributiva, con il doppio scopo di penalizzare le economie sviluppate e di impedire una crescita autonoma di quelle più povere. Anzi, senza che l’opinione pubblica ne sia consapevole perchè di queste cose i giornali non parlano, sta attuando una attiva politica volta ad ostacolare lo sviluppo dei paesi più poveri e in particolare di quelli africani. Ad essi viene imposto, pena il blocco degli aiuti, di usare solo l’energia eolica e fotovoltaica, e viene proibito l’uso del DDT in funzione antimalaria e la coltivazione di piante geneticamente modificate. La malaria colpisce ogni anno in Africa 500 milioni di persone, ne uccide da 1 a 3 milioni, ed è il principale impedimento alla crescita, mentre il DDT, insetticida quasi innocuo per gli animali superiori, è indispensabile per combatterla. A loro volta le tecniche di ricombinazione genetica sono indispensabili per far partire la rivoluzione verde, necessaria per avviare un autonomo processo di crescita che si autoalimenta e poi non si ferma più, come è già avvenuto in Cina, in India e in tanti altri paesi.
Questi ricatti verso i paesi più deboli da parte delle massime istituzioni europee, sono vergognosi e immorali, e non hanno alcuna giustificazione nè scientifica, nè sociale nè ambientale. Essi costringono centinaia di milioni di persone a subire la più grande di tutte le ingiustizie (la povertà), quando invece basterebbe poco per promuovere lo sviluppo, come gli stessi paesi africani vorrebbero. Oltre tutto lo sviluppo è anche la condizione per alleggerire la pressione sul territorio e sugli ambienti naturali, e per far scendere il tasso di natalità senza bisogno di pratiche coercitive. E’ anche l’unica vera soluzione per arginare l’immigrazione clandestina.
Da tutto questo si capisce quanto sia importante inquadrare correttamente i problemi dell’ambiente, e adottare politiche che siano contemporaneamente a favore dello sviluppo e della sostenibilità. Un esempio di come sia possibile conciliare queste due esigenze che molti pensano incompatibili, è il piano casa che sta per essere varato dal Governo, che stimolerà la crescita economica attraverso interventi di ristrutturazione edilizia in gran parte finalizzati ad abbattere i consumi di energia. Molto altro in questo settore si sta facendo, ma altro ancora si potrebbe fare, come per esempio lanciare un piano per l’isolamento termico degli edifici che si possa applicare ai condomini, che si finanzierebbe da solo con i risparmi energetici. Questo è il tipo di progetti che gli ambientalisti dovrebbero sostenere, invece di imporre enormi costi e investimenti che non portano a nulla: protocollo di Kyoto, energia eolica, auto a idrogeno, biocarburanti ecc. Con investimenti molto più modesti si potrebbe assicurare ai paesi emergenti un lungo periodo di sostenibile crescita. Quando poi le loro economie saranno diventate mature e terziarizzate, i consumi globali di risorse primarie subiranno una netta riduzione, come è già avvenuto in “tutti” i paesi sviluppati.
Questa è anche la politica che il nostro Governo dovrebbe fare propria, anzichè subire passivamente le imposizioni dell’Europa, che col pretesto dell’ambiente sta facendo la guerra alla nostra stessa società. Ma la condizione prima è una corretta informazione, per non correre il rischio di essere additati come nemici dell’ambiente. Per questo è importante che ci siano libri come “Le bugie degli ambientalisti”, che hanno avuto il coraggio di sfidare tanti luoghi comuni, e anche un sito internet che ha sviluppato questi temi con un lavoro ormai decennale: un lavoro di approfondimento già fatto che dovrebbe essere sfruttato e valorizzato.
Perchè la scelta tra sviluppo e non sviluppo è destinata a diventare la questione politica più importante di questi anni.