LA COSTOSA FOLLIA DELLE ENERGIE ALTERNATIVE
L’energia è un bene strategico da cui dipende sia la prosperità economica che la sostenibilità ambientale. Chi si occupa di ambiente e sviluppo dovrebbe quindi mettere al primo posto la ricerca di nuove fonti di energia che siano ad un tempo economiche e sostenibili. Purtroppo, invece, si è affermato un ambientalismo ideologico che ha più interesse a mettere sotto accusa l’economia capitalista che a trovare delle soluzioni efficaci. Esso ha condannato tutte le principali tecnologie sviluppate in questi anni e ha imposto la costosissima non soluzione delle energie alternative, che lasciano i problemi immutati o addirittura li aggravano. L’energia eolica e fotovoltaica, i biocarburanti e l’auto a idrogeno, nonostante i loro costi spropositati, non sono in grado di sostituire le normali centrali elettriche e i combustibili fossili.
Energia eolica e fotovoltaica.
L’Europa si è data l’obiettivo di coprire il 20% della produzione di energia con le fonti rinnovabili entro il 2020. Questo obiettivo in termini di potenza installata è stato raggiunto grazie ai forti incentivi pubblici e ai costi impropri addossati alle famiglie, che in Italia pagano 10 miliardi all’anno in più sulle bollette elettriche. Adesso l’obiettivo, da raggiungere entro il 2030, è stato portato al 32%.
Ma potenza installata non significa energia elettrica prodotta. Per esempio in Italia la quantità di energia elettrica prodotta con gli impianti eolici è solo il 20% della potenza nominale (vedi L’AVVOCATO DELL’ATOMO di Luca Romano - pag. 167).
Per quanto riguarda poi l’energia fotovoltaica lo scienziato Paolo Saraceno, direttore di un centro di ricerca per lo sviluppo di satelliti da lanciare nello spazio, afferma: “Alcune di queste fonti come il fotovoltaico richiedono, per costruire gli impianti, una quantità di energia superiore a quella che quegli impianti produrrebbero in tutta la loro vita e non dovrebbero essere prese in considerazione in un discorso ambientale serio” (vedi “Il caso Terra” di Paolo Saraceno - Mursia editore 2007 - pag. 216). Una ventina di anni dopo le cose sono un po’ migliorate, e oggi gli impianti fotovoltaici producono un terzo in più dell’energia che è stata spesa per produrli, ma è ancora troppo poco, perché è energia prodotta in una forma quasi inutilizzabile. E gli impianti fotovoltaici presenti in ogni provincia della pianura padana sono ancora più assurdi, dato che qui i giorni di copertura nuvolosa sono il 70 / 80% del totale.
Per di più gli impianti eolici e fotovoltaici producono la loro energia in maniera Inoltre per poter usare una quantità maggiore possibile di queste fonti di energia aleatorie le linee elettriche hanno dovuto essere rifatte, perché possano sostenere dei maggiori sbalzi di tensione. Inoltre sono necessarie anche delle centrali di back up (che bruciano dei combustibili fossili), che devono essere sempre pronte ad accendersi per quando cala il vento o il cielo si copre di nuvole. Ma per potersi accendere istantaneamente non possono essere delle grosse centrali a turbogas e pertanto il loro rendimento è molto più basso, con la conseguenza che devono bruciare più combustibile a parità di energia elettrica prodotta.
Poi c’è il problema che gli impianti eolici producono la loro energia di giorno, di notte, nei giorni lavorativi e in quelli festivi. Ma di notte e nei giorni non lavorativi la domanda di energia elettrica crolla. “Però non ci sono modi convenienti di immagazzinare grandi quantità di energia elettrica, nemmeno in un futuro prevedibile” (vedi l’articolo di LeScienze “Imbrigliare il vento” del maggio 2012).
In Italia, considerando anche i costi indiretti, per eolico e fotovoltaico abbiamo già speso circa 300 miliardi di qualche anno fa, praticamente in cambio di nulla. Mentre la Germania, dopo avere chiuso le sue 19 centrali nucleari e avere speso oltre 600 miliardi per sostituirle con impianti eolici e fotovoltaici, è stata costretta a tornare al gas naturale e a riaprire le sue miniere di carbone. Peggio ancora, per poter usare la quantità maggiore possibile di energie “alternative”, sei centrali a carbone, quando c’è disponibilità di energia rinnovabile, vengono tenute accese e scollegate dalla rete, in modo che possano essere collegate immediatamente se il vento cala. (L’AVVOCATO DELL’ATOMO – pag. 170)
Del resto l’energia eolica non è conveniente nemmeno nel paese europeo che ha le migliori condizioni di vento. La Danimarca ha investito molto su questa fonte di energia. Ma anche lì vale il discorso che l’energia prodotta di notte è più dannosa che utile. Inoltre, dato che la quantità non è più insignificante, ogni volta che cala il vento, per non dover interrompere le forniture la Danimarca è costretta a comprare dell’energia elettrica dai paesi confinanti, senza alcun preavviso e ad effetto immediato, e quindi alle peggiori condizioni di mercato.
Quali sono state le conseguenze per i paesi che hanno puntato di più sulle rinnovabili? Prima di tutto un’enorme distruzione di risorse economiche. La Germania ha distrutto un valore di oltre 1.000 miliardi, sia per avere chiuso 19 centrali nucleari già pagate, sia per il costo sostenuto per gli impianti eolici e fotovoltaici. Ma l’Italia non è stata da meno. Inoltre, anche se il loro costo nel tempo è diminuito, sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici durano appena 25 anni e poi dovranno essere sostituiti (mentre la durata delle centrali nucleari è di 80 anni). Infine c’è il costo per l’economia e per le famiglie, che devono pagare tre volte di più l’energia elettrica rispetto ad un paese “nuclearizzato” come la Francia.
Poi ai danni economici bisogna aggiungere quelli ambientali. Innanzi tutto l’economia, per produrre tutte le risorse economiche che sono state distrutte, ha dovuto girare e quando gira esercita sempre un certo impatto ambientale: un danno inflitto all’ambiente in cambio di nulla. Inoltre sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici usano delle “terre rare” la cui produzione ha un terribile impatto ambientale. Per lo stesso motivo anche lo smaltimento di questi impianti, una volta dismessi, è molto problematico. C’è ancora il danno al paesaggio causato da centinaia di altissime torri di cemento, visibili da decine di chilometri di distanza, che deturpano intere regioni del Bel Paese. Infine gli impianti eolici uccidono migliaia di uccelli migratori e di pipistrelli e miliardi di insetti.
Siamo sicuri, al di là dei costi astronomici, che questo sia il modo migliore di affrontare il problema dell’energia? Anche senza pensare al nucleare, non sarebbe meglio usare il calore di scarto delle centrali elettriche per scaldare case e uffici in inverno? Potremmo ottenere molto di più con molto meno e senza deturpare il paesaggio. Per non parlare delle auto elettriche che abbatteranno i consumi e le importazioni di energia dell’85 / 90%, e di conseguenza anche l’impoverimento della nostra economia.
Però è proprio questa la politica che l’Europa ha imposto ai paesi membri e che è stata recepita nel capitolo II del PNRR anche dall’attuale governo di destra.
Biocombustibili
I biocombustibili e i biocarburanti sono un’altra assurdità. Nell’anno 2010 la produzione di biocombustibili negli Stati Uniti è stata pari a 49 miliardi di litri, a fronte di un consumo di 550 miliardi di litri di benzina e gasolio. Considerando che un litro di etanolo fornisce ad un veicolo solo i due terzi dell’energia prodotta da un litro di benzina, questa quantità rappresenta il 6% del fabbisogno di carburante. Un risultato che è stato ottenuto solo grazie ai massicci sussidi del governo americano. Per produrre questo etanolo viene usato il 40% del mais, con la conseguenza di far lievitare i prezzi delle derrate agricole e di creare un’enorme zona morta nel Golfo del Messico a causa della grande quantità di fertilizzanti impiegati (informazioni tratte dall’articolo “Biocombustibili: una promessa non mantenuta” pubblicato da LeScienze nel mese di ottobre 2011).
Secondo numerosi studi un litro di etanolo richiede più energia per essere prodotto di quanto ne fornisca durante la combustione, e anche negli studi più favorevoli il guadagno energetico è appena percettibile (vedi l’articolo di LeScienze: “Etanolo tra mito e realtà” pubblicato nel mese di aprile 2007).
Quindi di nuovo un contributo nullo al problema dell’energia, ma per il quale sono state impiegate grandi quantità di risorse naturali (13 milioni di ettari di terreno agricolo), a cui vanno aggiunti i sussidi governativi e il maggiore costo del mais pagato dai consumatori. In realtà l’aumento del prezzo dei cereali è l’unica vera conseguenza di questa operazione, che si configura come una speculazione sui prezzi che ha preso a pretesto delle motivazioni ambientali per sottrarre dal mercato un’enorme quantità di prodotto.
Produrre l’etanolo dalla cellulosa potrebbe sembrare una soluzione migliore. Quantomeno non verrebbero distrutte delle derrate agricole. La campagna produce infatti una grande quantità di residui cellulosici che non possono essere usati nemmeno come mangimi. D’altra parte non è vero che questi residui vegetali sono inutili. Infatti sottrarre grandi quantità di residui vegetali che migliorano la qualità del suolo quando si decompongono, potrebbe accelerare il degrado del terreno e renderlo incapace di sostenere la crescita delle nuove colture. La conclusione è che anche con i residui vegetali non si potranno mai produrre grandi quantità di biocarburanti. Inoltre, nonostante che molti ci abbiano provato, nessuna azienda finora è riuscita a sviluppare un procedimento praticabile per una produzione industriale. Una produzione cioè che sia conveniente sia dal punto di vista economico che energetico.
Per quanto riguarda l’etanolo da canna da zucchero, la sua produzione sul piano economico si è dimostrata conveniente. Il Brasile qualche anno fa produceva 26,5 miliardi di litri di etanolo da zucchero di canna ogni anno, ma al prezzo di convertire grandi superfici di foresta tropicale in terreno per coltivazioni. Il danno ambientale è enorme, anche in termini di una maggiore produzione di anidride carbonica.
Infine le alghe. Le alghe hanno la capacità di sfruttare il triplo della radiazione solare e di produrre biomassa in maniera molto più efficiente del mais e della canna da zucchero, e possono essere irrigate con acqua di mare o liquami. Si potrebbero usare per queste coltivazioni anche delle aree desertiche. Ma il problema è la trasformazione delle alghe in etanolo. Nonostante gli investimenti e i contributi pubblici, le aziende del settore sono ancora molto lontane da una produzione industriale dal costo accettabile. Ecco in proposito il parere di Vinod Khosla, un investitore specializzato in tecnologie ambientali: “Prendiamo le tecnologie per l’estrazione di combustibili dalle alghe: ne ho viste decine, ma nessuna sostenibile dal punto di vista economico. E non è tutto: analizzando i costi, non ho mai visto un ipotetico punto di svolta che possa migliorare di cinque volte l’efficienza dei processi” (vedi l’intervista di Mark Fischetti pubblicata su LeScienze del mese di marzo 2011).
Auto a idrogeno
Infine un’altra grande utopia è quella dell’auto a idrogeno. L’idrogeno brucia combinandosi con l’ossigeno e produce solo qualche goccia di acqua calda. Per questo è diventato un’icona dell’ambientalismo.
Sull’auto a idrogeno sono state riposte molte speranze e sono stati fatti colossali investimenti (tutti pubblici!), stimabili in qualche centinaio di miliardi di dollari. L’idrogeno a bordo dell’auto verrebbe trasformato in energia elettrica in una cella a combustibile, un modo per arrivare all’auto elettrica. Ma hanno ancora senso le auto a idrogeno adesso che ci sono già delle vere auto elettriche?
Sulla Terra non ci sono giacimenti di idrogeno e questo gas bisogna ricavarlo da altre fonti. Il modo più economico è produrlo dal metano a costi quattro volte superiori e con una perdita del contenuto energetico di quasi il 50%.
Ma allora, perché non usare direttamente il metano? Altrimenti l’idrogeno può essere prodotto per elettrolisi, cioè scindendo le molecole dell’acqua nelle sue componenti, l’idrogeno e l’ossigeno. Ma serve molta pregiata energia elettrica.
Infine il vapore acqueo si scinde spontaneamente in idrogeno e ossigeno quando viene scaldato ad una temperatura di almeno 800 C°. Ma di nuovo occorre dell’energia in una forma pregiata e costosa, e circa la metà di essa servirebbe a produrre ossigeno. E poiché l’ossigeno ha un mercato limitato, anche qui metà dell’energia andrebbe perduta.
Ma l’idrogeno, oltre a dover essere prodotto da fonti di energia pregiate, è anche il mezzo meno adatto per immagazzinarla, dato che ha una bassa capacità energetica. E a rendere questo gas ancora più problematico, c’è il fatto che per essere liquefatto deve essere portato alla temperatura davvero bassa di –252,77 C°.
Liquefare l’idrogeno allo scopo di ridurne il volume è molto costoso ed è necessario un impianto di raffreddamento sofisticato, che a sua volta consuma molta energia. E un impianto che dovrebbe funzionare sempre in maniera impeccabile, anche quando l’auto è ferma. Perché se la temperatura dovesse superare anche di poco il limite del passaggio di stato, l’idrogeno passerebbe istantaneamente dallo stato liquido a quello gassoso e il suo volume aumenterebbe di decine di volte con una immane esplosione.
Un altro modo per liquefare l’idrogeno è comprimerlo a 700 atmosfere, ma di nuovo è necessaria una grande quantità di energia. Inoltre l’idrogeno, anche liquefatto, a parità di energia occupa un volume cinque volte superiore a quello della benzina. Quindi è necessario un serbatoio molto grande, massiccio e pesante, perché possa contenere con sicurezza una simile pressione. E l’auto a idrogeno dovrebbe essere a sua volta sufficientemente grande e robusta per poter trasportare un tale peso e volume. Ma allora consumerebbe ancora più energia, avrebbe bisogno di un serbatoio ancora più grande ecc.
Poi, una volta caricato sull’auto, l’idrogeno dovrebbe essere trasformato in elettricità in una cella a combustibile, e l’elettricità così prodotta alimenterebbe il motore elettrico.
Il rendimento di questa trasformazione è di circa il 50%, e ciò significa che metà dell’energia andrà perduta (e a questo punto rimarrebbe solo un quarto dell’energia originaria del metano). Inoltre le celle a combustibile non solo sono dispositivi molto sofisticati e per adesso di costo proibitivo, ma la loro componente principale è la spugna di platino. E anche ammesso che tutti gli altri problemi possano essere risolti, semplicemente di platino non ce n’è abbastanza.
Il platino è un metallo molto più raro dell’oro. Se ne può trovare una quantità sufficiente per qualche prototipo, ma come si può pensare che ce ne sia abbastanza per centinaia di milioni di auto? E se l’auto a idrogeno non è proponibile come sostituto delle attuali automobili, a cosa dovrebbe servire? Per non dire del fatto che un impianto dell’ultra super freddo dovrebbe convivere a breve distanza, sulla stessa automobile, con una cella a combustibile che funziona alla temperatura di 800 / 1.000 C°.
Ma ci sono ancora altri problemi. Come facciamo a far arrivare l’idrogeno ai distributori? Se mantenessimo l’idrogeno allo stato gassoso bisognerebbe interrare migliaia di chilometri di tubi del diametro di un metro. Altrimenti dovremmo costruire delle tubature che tengano con sicurezza la pressione di 700 atmosfere, oppure che vengano mantenute per tutto il loro percorso ad una temperatura inferiore a – 253 C°. L’auto a idrogeno è davvero la cosa più folle e assurda che sia mai stata concepita!
Una delle ragioni per cui l’idrogeno viene preferito, è che non è un combustibile fossile. Ma questo significa che sulla Terra non ci sono giacimenti di questo gas. Mentre il gas naturale e il metano, da cui si può ricavare l’idrogeno, non vanno bene perché sono combustibili fossili. Questa però è la condizione perché siano disponibili. Per il resto il metano è la cosa che più si avvicina all’idrogeno, perché la sua molecola è fatta di un atomo di carbonio e quattro di idrogeno: è quasi tutto idrogeno. Inoltre questo gas è pulito, abbondante e quindi poco costoso. Però non lo si può usare perché è un combustibile fossile!
Neutralità climatica
Oggi 28 giugno 2021 in Europa la neutralità climatica è diventata legge. Molti saranno contenti: finalmente facciamo qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico!
Intanto è tutt’altro che certo che a causare il recente aumento della temperatura globale sia stata l’anidride carbonica, perché è molto più probabili che sia stato il sole (vedi l’articolo Reimpostare la discussione sul clima). E poi è evidente che lo scopo non è diminuire il tasso di CO2 atmosferico. Questo è solo il pretesto.
Il vero obiettivo dei partiti politici e dei movimenti ambientalisti che hanno imposto queste scelte non può che essere quello di fare il massimo danno all’economia.
I paesi emergenti, che ora possono permetterselo perché grazie alla loro crescita non sono più ricattabili, hanno sempre rifiutato queste assurdità. Quindi un costo che viene sostenuto solo dai paesi occidentali e che danneggia solo loro. Questa era la situazione fino a ieri.
Adesso sta iniziando l’era delle auto elettriche, che faranno crollare i consumi di energia e di petrolio dell’85 / 90%. Questa sì che è una buona notizia, per l’economia e per l’ambiente. Ma è una brutta notizia per chi vuole fare la guerra all’economia e per le multinazionali del petrolio.
Come faranno adesso a guadagnare? Per questo si sono inventate delle finte soluzioni al problema del riscaldamento globale, il cui unico scopo è di continuare a venderci dei combustibili fossili (“Tra il 2016 e il 2019, le cinque maggiori società quotate in borsa del settore petrolio e gas naturale – ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron Corporation, BP e Total – hanno investito un miliardo di dollari in pubblicità e attività di lobby a favore delle energie rinnovabili e altre campagne incentrate sul clima.” (Michael Shellenberger “L’apocalisse può attendere” – pag. 250).
Ma il rovescio della medaglia sono i danni all’economia, tanto che in Italia i prezzi alti dell’energia hanno già provocato la crisi economica che dura dal 2008.
La de carbonizzazione, che andrà ad aggiungersi alla follia delle rinnovabili, raggiungerà almeno lo scopo di diminuire il livello dell’anidride carbonica atmosferica, ammesso che sia un obiettivo desiderabile? No perché, come per il passato, i paesi emergenti si guarderanno bene dall’adottare dei provvedimenti così penalizzanti. Figuriamoci se la Cina, l’India, la Russia, il Brasile ecc. decideranno di azzoppare le loro economie!
Quindi di nuovo una politica autolesionista che verrà adottata solo dai paesi occidentali, che saranno i soli a pagarne il prezzo. E di nuovo un prezzo altissimo in cambio di nulla. A questo punto i governi dei paesi occidentali devono scegliere se fare gli interessi delle multinazionali dei combustibili fossili o quelli del proprio paese.
Forse in giro ci sono ancora delle forze politiche che vogliono il bene del proprio paese. Ma allora come possono accettare questa politica inutile e incredibilmente costosa?
Energia eolica e fotovoltaica.
L’Europa si è data l’obiettivo di coprire il 20% della produzione di energia con le fonti rinnovabili entro il 2020. Questo obiettivo in termini di potenza installata è stato raggiunto grazie ai forti incentivi pubblici e ai costi impropri addossati alle famiglie, che in Italia pagano 10 miliardi all’anno in più sulle bollette elettriche. Adesso l’obiettivo, da raggiungere entro il 2030, è stato portato al 32%.
Ma potenza installata non significa energia elettrica prodotta. Per esempio in Italia la quantità di energia elettrica prodotta con gli impianti eolici è solo il 20% della potenza nominale (vedi L’AVVOCATO DELL’ATOMO di Luca Romano - pag. 167).
Per quanto riguarda poi l’energia fotovoltaica lo scienziato Paolo Saraceno, direttore di un centro di ricerca per lo sviluppo di satelliti da lanciare nello spazio, afferma: “Alcune di queste fonti come il fotovoltaico richiedono, per costruire gli impianti, una quantità di energia superiore a quella che quegli impianti produrrebbero in tutta la loro vita e non dovrebbero essere prese in considerazione in un discorso ambientale serio” (vedi “Il caso Terra” di Paolo Saraceno - Mursia editore 2007 - pag. 216). Una ventina di anni dopo le cose sono un po’ migliorate, e oggi gli impianti fotovoltaici producono un terzo in più dell’energia che è stata spesa per produrli, ma è ancora troppo poco, perché è energia prodotta in una forma quasi inutilizzabile. E gli impianti fotovoltaici presenti in ogni provincia della pianura padana sono ancora più assurdi, dato che qui i giorni di copertura nuvolosa sono il 70 / 80% del totale.
Per di più gli impianti eolici e fotovoltaici producono la loro energia in maniera Inoltre per poter usare una quantità maggiore possibile di queste fonti di energia aleatorie le linee elettriche hanno dovuto essere rifatte, perché possano sostenere dei maggiori sbalzi di tensione. Inoltre sono necessarie anche delle centrali di back up (che bruciano dei combustibili fossili), che devono essere sempre pronte ad accendersi per quando cala il vento o il cielo si copre di nuvole. Ma per potersi accendere istantaneamente non possono essere delle grosse centrali a turbogas e pertanto il loro rendimento è molto più basso, con la conseguenza che devono bruciare più combustibile a parità di energia elettrica prodotta.
Poi c’è il problema che gli impianti eolici producono la loro energia di giorno, di notte, nei giorni lavorativi e in quelli festivi. Ma di notte e nei giorni non lavorativi la domanda di energia elettrica crolla. “Però non ci sono modi convenienti di immagazzinare grandi quantità di energia elettrica, nemmeno in un futuro prevedibile” (vedi l’articolo di LeScienze “Imbrigliare il vento” del maggio 2012).
In Italia, considerando anche i costi indiretti, per eolico e fotovoltaico abbiamo già speso circa 300 miliardi di qualche anno fa, praticamente in cambio di nulla. Mentre la Germania, dopo avere chiuso le sue 19 centrali nucleari e avere speso oltre 600 miliardi per sostituirle con impianti eolici e fotovoltaici, è stata costretta a tornare al gas naturale e a riaprire le sue miniere di carbone. Peggio ancora, per poter usare la quantità maggiore possibile di energie “alternative”, sei centrali a carbone, quando c’è disponibilità di energia rinnovabile, vengono tenute accese e scollegate dalla rete, in modo che possano essere collegate immediatamente se il vento cala. (L’AVVOCATO DELL’ATOMO – pag. 170)
Del resto l’energia eolica non è conveniente nemmeno nel paese europeo che ha le migliori condizioni di vento. La Danimarca ha investito molto su questa fonte di energia. Ma anche lì vale il discorso che l’energia prodotta di notte è più dannosa che utile. Inoltre, dato che la quantità non è più insignificante, ogni volta che cala il vento, per non dover interrompere le forniture la Danimarca è costretta a comprare dell’energia elettrica dai paesi confinanti, senza alcun preavviso e ad effetto immediato, e quindi alle peggiori condizioni di mercato.
Quali sono state le conseguenze per i paesi che hanno puntato di più sulle rinnovabili? Prima di tutto un’enorme distruzione di risorse economiche. La Germania ha distrutto un valore di oltre 1.000 miliardi, sia per avere chiuso 19 centrali nucleari già pagate, sia per il costo sostenuto per gli impianti eolici e fotovoltaici. Ma l’Italia non è stata da meno. Inoltre, anche se il loro costo nel tempo è diminuito, sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici durano appena 25 anni e poi dovranno essere sostituiti (mentre la durata delle centrali nucleari è di 80 anni). Infine c’è il costo per l’economia e per le famiglie, che devono pagare tre volte di più l’energia elettrica rispetto ad un paese “nuclearizzato” come la Francia.
Poi ai danni economici bisogna aggiungere quelli ambientali. Innanzi tutto l’economia, per produrre tutte le risorse economiche che sono state distrutte, ha dovuto girare e quando gira esercita sempre un certo impatto ambientale: un danno inflitto all’ambiente in cambio di nulla. Inoltre sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici usano delle “terre rare” la cui produzione ha un terribile impatto ambientale. Per lo stesso motivo anche lo smaltimento di questi impianti, una volta dismessi, è molto problematico. C’è ancora il danno al paesaggio causato da centinaia di altissime torri di cemento, visibili da decine di chilometri di distanza, che deturpano intere regioni del Bel Paese. Infine gli impianti eolici uccidono migliaia di uccelli migratori e di pipistrelli e miliardi di insetti.
Siamo sicuri, al di là dei costi astronomici, che questo sia il modo migliore di affrontare il problema dell’energia? Anche senza pensare al nucleare, non sarebbe meglio usare il calore di scarto delle centrali elettriche per scaldare case e uffici in inverno? Potremmo ottenere molto di più con molto meno e senza deturpare il paesaggio. Per non parlare delle auto elettriche che abbatteranno i consumi e le importazioni di energia dell’85 / 90%, e di conseguenza anche l’impoverimento della nostra economia.
Però è proprio questa la politica che l’Europa ha imposto ai paesi membri e che è stata recepita nel capitolo II del PNRR anche dall’attuale governo di destra.
Biocombustibili
I biocombustibili e i biocarburanti sono un’altra assurdità. Nell’anno 2010 la produzione di biocombustibili negli Stati Uniti è stata pari a 49 miliardi di litri, a fronte di un consumo di 550 miliardi di litri di benzina e gasolio. Considerando che un litro di etanolo fornisce ad un veicolo solo i due terzi dell’energia prodotta da un litro di benzina, questa quantità rappresenta il 6% del fabbisogno di carburante. Un risultato che è stato ottenuto solo grazie ai massicci sussidi del governo americano. Per produrre questo etanolo viene usato il 40% del mais, con la conseguenza di far lievitare i prezzi delle derrate agricole e di creare un’enorme zona morta nel Golfo del Messico a causa della grande quantità di fertilizzanti impiegati (informazioni tratte dall’articolo “Biocombustibili: una promessa non mantenuta” pubblicato da LeScienze nel mese di ottobre 2011).
Secondo numerosi studi un litro di etanolo richiede più energia per essere prodotto di quanto ne fornisca durante la combustione, e anche negli studi più favorevoli il guadagno energetico è appena percettibile (vedi l’articolo di LeScienze: “Etanolo tra mito e realtà” pubblicato nel mese di aprile 2007).
Quindi di nuovo un contributo nullo al problema dell’energia, ma per il quale sono state impiegate grandi quantità di risorse naturali (13 milioni di ettari di terreno agricolo), a cui vanno aggiunti i sussidi governativi e il maggiore costo del mais pagato dai consumatori. In realtà l’aumento del prezzo dei cereali è l’unica vera conseguenza di questa operazione, che si configura come una speculazione sui prezzi che ha preso a pretesto delle motivazioni ambientali per sottrarre dal mercato un’enorme quantità di prodotto.
Produrre l’etanolo dalla cellulosa potrebbe sembrare una soluzione migliore. Quantomeno non verrebbero distrutte delle derrate agricole. La campagna produce infatti una grande quantità di residui cellulosici che non possono essere usati nemmeno come mangimi. D’altra parte non è vero che questi residui vegetali sono inutili. Infatti sottrarre grandi quantità di residui vegetali che migliorano la qualità del suolo quando si decompongono, potrebbe accelerare il degrado del terreno e renderlo incapace di sostenere la crescita delle nuove colture. La conclusione è che anche con i residui vegetali non si potranno mai produrre grandi quantità di biocarburanti. Inoltre, nonostante che molti ci abbiano provato, nessuna azienda finora è riuscita a sviluppare un procedimento praticabile per una produzione industriale. Una produzione cioè che sia conveniente sia dal punto di vista economico che energetico.
Per quanto riguarda l’etanolo da canna da zucchero, la sua produzione sul piano economico si è dimostrata conveniente. Il Brasile qualche anno fa produceva 26,5 miliardi di litri di etanolo da zucchero di canna ogni anno, ma al prezzo di convertire grandi superfici di foresta tropicale in terreno per coltivazioni. Il danno ambientale è enorme, anche in termini di una maggiore produzione di anidride carbonica.
Infine le alghe. Le alghe hanno la capacità di sfruttare il triplo della radiazione solare e di produrre biomassa in maniera molto più efficiente del mais e della canna da zucchero, e possono essere irrigate con acqua di mare o liquami. Si potrebbero usare per queste coltivazioni anche delle aree desertiche. Ma il problema è la trasformazione delle alghe in etanolo. Nonostante gli investimenti e i contributi pubblici, le aziende del settore sono ancora molto lontane da una produzione industriale dal costo accettabile. Ecco in proposito il parere di Vinod Khosla, un investitore specializzato in tecnologie ambientali: “Prendiamo le tecnologie per l’estrazione di combustibili dalle alghe: ne ho viste decine, ma nessuna sostenibile dal punto di vista economico. E non è tutto: analizzando i costi, non ho mai visto un ipotetico punto di svolta che possa migliorare di cinque volte l’efficienza dei processi” (vedi l’intervista di Mark Fischetti pubblicata su LeScienze del mese di marzo 2011).
Auto a idrogeno
Infine un’altra grande utopia è quella dell’auto a idrogeno. L’idrogeno brucia combinandosi con l’ossigeno e produce solo qualche goccia di acqua calda. Per questo è diventato un’icona dell’ambientalismo.
Sull’auto a idrogeno sono state riposte molte speranze e sono stati fatti colossali investimenti (tutti pubblici!), stimabili in qualche centinaio di miliardi di dollari. L’idrogeno a bordo dell’auto verrebbe trasformato in energia elettrica in una cella a combustibile, un modo per arrivare all’auto elettrica. Ma hanno ancora senso le auto a idrogeno adesso che ci sono già delle vere auto elettriche?
Sulla Terra non ci sono giacimenti di idrogeno e questo gas bisogna ricavarlo da altre fonti. Il modo più economico è produrlo dal metano a costi quattro volte superiori e con una perdita del contenuto energetico di quasi il 50%.
Ma allora, perché non usare direttamente il metano? Altrimenti l’idrogeno può essere prodotto per elettrolisi, cioè scindendo le molecole dell’acqua nelle sue componenti, l’idrogeno e l’ossigeno. Ma serve molta pregiata energia elettrica.
Infine il vapore acqueo si scinde spontaneamente in idrogeno e ossigeno quando viene scaldato ad una temperatura di almeno 800 C°. Ma di nuovo occorre dell’energia in una forma pregiata e costosa, e circa la metà di essa servirebbe a produrre ossigeno. E poiché l’ossigeno ha un mercato limitato, anche qui metà dell’energia andrebbe perduta.
Ma l’idrogeno, oltre a dover essere prodotto da fonti di energia pregiate, è anche il mezzo meno adatto per immagazzinarla, dato che ha una bassa capacità energetica. E a rendere questo gas ancora più problematico, c’è il fatto che per essere liquefatto deve essere portato alla temperatura davvero bassa di –252,77 C°.
Liquefare l’idrogeno allo scopo di ridurne il volume è molto costoso ed è necessario un impianto di raffreddamento sofisticato, che a sua volta consuma molta energia. E un impianto che dovrebbe funzionare sempre in maniera impeccabile, anche quando l’auto è ferma. Perché se la temperatura dovesse superare anche di poco il limite del passaggio di stato, l’idrogeno passerebbe istantaneamente dallo stato liquido a quello gassoso e il suo volume aumenterebbe di decine di volte con una immane esplosione.
Un altro modo per liquefare l’idrogeno è comprimerlo a 700 atmosfere, ma di nuovo è necessaria una grande quantità di energia. Inoltre l’idrogeno, anche liquefatto, a parità di energia occupa un volume cinque volte superiore a quello della benzina. Quindi è necessario un serbatoio molto grande, massiccio e pesante, perché possa contenere con sicurezza una simile pressione. E l’auto a idrogeno dovrebbe essere a sua volta sufficientemente grande e robusta per poter trasportare un tale peso e volume. Ma allora consumerebbe ancora più energia, avrebbe bisogno di un serbatoio ancora più grande ecc.
Poi, una volta caricato sull’auto, l’idrogeno dovrebbe essere trasformato in elettricità in una cella a combustibile, e l’elettricità così prodotta alimenterebbe il motore elettrico.
Il rendimento di questa trasformazione è di circa il 50%, e ciò significa che metà dell’energia andrà perduta (e a questo punto rimarrebbe solo un quarto dell’energia originaria del metano). Inoltre le celle a combustibile non solo sono dispositivi molto sofisticati e per adesso di costo proibitivo, ma la loro componente principale è la spugna di platino. E anche ammesso che tutti gli altri problemi possano essere risolti, semplicemente di platino non ce n’è abbastanza.
Il platino è un metallo molto più raro dell’oro. Se ne può trovare una quantità sufficiente per qualche prototipo, ma come si può pensare che ce ne sia abbastanza per centinaia di milioni di auto? E se l’auto a idrogeno non è proponibile come sostituto delle attuali automobili, a cosa dovrebbe servire? Per non dire del fatto che un impianto dell’ultra super freddo dovrebbe convivere a breve distanza, sulla stessa automobile, con una cella a combustibile che funziona alla temperatura di 800 / 1.000 C°.
Ma ci sono ancora altri problemi. Come facciamo a far arrivare l’idrogeno ai distributori? Se mantenessimo l’idrogeno allo stato gassoso bisognerebbe interrare migliaia di chilometri di tubi del diametro di un metro. Altrimenti dovremmo costruire delle tubature che tengano con sicurezza la pressione di 700 atmosfere, oppure che vengano mantenute per tutto il loro percorso ad una temperatura inferiore a – 253 C°. L’auto a idrogeno è davvero la cosa più folle e assurda che sia mai stata concepita!
Una delle ragioni per cui l’idrogeno viene preferito, è che non è un combustibile fossile. Ma questo significa che sulla Terra non ci sono giacimenti di questo gas. Mentre il gas naturale e il metano, da cui si può ricavare l’idrogeno, non vanno bene perché sono combustibili fossili. Questa però è la condizione perché siano disponibili. Per il resto il metano è la cosa che più si avvicina all’idrogeno, perché la sua molecola è fatta di un atomo di carbonio e quattro di idrogeno: è quasi tutto idrogeno. Inoltre questo gas è pulito, abbondante e quindi poco costoso. Però non lo si può usare perché è un combustibile fossile!
Neutralità climatica
Oggi 28 giugno 2021 in Europa la neutralità climatica è diventata legge. Molti saranno contenti: finalmente facciamo qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico!
Intanto è tutt’altro che certo che a causare il recente aumento della temperatura globale sia stata l’anidride carbonica, perché è molto più probabili che sia stato il sole (vedi l’articolo Reimpostare la discussione sul clima). E poi è evidente che lo scopo non è diminuire il tasso di CO2 atmosferico. Questo è solo il pretesto.
Il vero obiettivo dei partiti politici e dei movimenti ambientalisti che hanno imposto queste scelte non può che essere quello di fare il massimo danno all’economia.
I paesi emergenti, che ora possono permetterselo perché grazie alla loro crescita non sono più ricattabili, hanno sempre rifiutato queste assurdità. Quindi un costo che viene sostenuto solo dai paesi occidentali e che danneggia solo loro. Questa era la situazione fino a ieri.
Adesso sta iniziando l’era delle auto elettriche, che faranno crollare i consumi di energia e di petrolio dell’85 / 90%. Questa sì che è una buona notizia, per l’economia e per l’ambiente. Ma è una brutta notizia per chi vuole fare la guerra all’economia e per le multinazionali del petrolio.
Come faranno adesso a guadagnare? Per questo si sono inventate delle finte soluzioni al problema del riscaldamento globale, il cui unico scopo è di continuare a venderci dei combustibili fossili (“Tra il 2016 e il 2019, le cinque maggiori società quotate in borsa del settore petrolio e gas naturale – ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron Corporation, BP e Total – hanno investito un miliardo di dollari in pubblicità e attività di lobby a favore delle energie rinnovabili e altre campagne incentrate sul clima.” (Michael Shellenberger “L’apocalisse può attendere” – pag. 250).
Ma il rovescio della medaglia sono i danni all’economia, tanto che in Italia i prezzi alti dell’energia hanno già provocato la crisi economica che dura dal 2008.
La de carbonizzazione, che andrà ad aggiungersi alla follia delle rinnovabili, raggiungerà almeno lo scopo di diminuire il livello dell’anidride carbonica atmosferica, ammesso che sia un obiettivo desiderabile? No perché, come per il passato, i paesi emergenti si guarderanno bene dall’adottare dei provvedimenti così penalizzanti. Figuriamoci se la Cina, l’India, la Russia, il Brasile ecc. decideranno di azzoppare le loro economie!
Quindi di nuovo una politica autolesionista che verrà adottata solo dai paesi occidentali, che saranno i soli a pagarne il prezzo. E di nuovo un prezzo altissimo in cambio di nulla. A questo punto i governi dei paesi occidentali devono scegliere se fare gli interessi delle multinazionali dei combustibili fossili o quelli del proprio paese.
Forse in giro ci sono ancora delle forze politiche che vogliono il bene del proprio paese. Ma allora come possono accettare questa politica inutile e incredibilmente costosa?